CAINA, LA VASCA E QUEI RAGAZZI DELLA CAMPAGNOLA
Giocavano bravi e meno bravi, come sempre accade
Amarcord
di Massimo Rosa
Pochi a Verona conoscono Luciano Trevisani, se non le persone della sua famiglia, e forse anche quelle hanno delle perplessità sul chi sia questo signore: diverso diventa il discorso se invece si parla del “Caina”.
Forse all’ufficio anagrafe del comune converrebbe iscriverlo appunto con quest’ultimo appellativo, tanto è conosciuto uno dei miti di “quei ragazzi anni 50-60”, tutto calcio ed allegria.
E’quindi giusto che anche il Caina trovi posto tra i personaggi che hanno fatto la storia di questa centenaria Verona sportiva.
Lui ci entra perché è una memoria storica, uno spaccato di quel mondo, che oggi tutti enfatizzano, degli anni 50-60. Con lui si potrebbe fare un libro tanto è ricco di ricordi.
Ma facciamo la presentazione per chi ancora non lo conoscesse: ha giocato nel Verona-Riserve del 50-51, e successivamente è approdato all’Audace San Michele nel ‘52, prima di fermarsi per circa tre anni. Quindi riprende emigrando a Villimpenta e, quindi, a Suzzara.
E’ inutile dire che dove va diventa un idolo per simpatia, e capacità calcistiche davvero raffinate.
La sua carriera finisce al San Zeno, dove allora il personaggio in auge era il celebre “Molena”, dal quale sono passate diverse generazioni di calciatori, approdati nella più famosa “buca” di Verona, appunto quella dedicata al nostro Santo.
Ma la sua attività pedatoria non si ferma perché continua in un posto che per le nuove generazioni d’oggi è difficile immaginare, tanto tutto è cambiato: i Giardinetti della Campagnola con la sua Vasca, allora un vero e proprio “Maracanà”.
Nei Giardinetti di allora, per lo meno sino al 1960, non vi era l’attuale Campo Giochi. Lì il terreno era ricoperto di erba spelacchiata ed incolta, dove troneggiavano due tronchi d’albero dai quali i bambini amavano saltare e vivere avventure che rievocavano Tarzan.
I Giardinetti veri e propri erano invece quelli confinanti con la Vasca.
Nell’angolo in alto, vicino ai tre gradini, dalla parte opposta la fontana, vi si trovava un chiosco dipinto in verde, che vendeva, soprattutto le granite, gestito dalla famiglia Guberti, grandi cuori di Romagna, il cui “caput familiae” era il signor Mario, uomo la cui generosità, onestà e bontà erano smisurate. Anche su di lui varrebbe la pena scrivere, tanto è ricca d’avventure e di aneddoti la sua vita, che si è rispecchiata successivamente in quella portentosa opera d’arte cinematografica di Fellini “Amarcord”.
Questa non vuole essere una divagazione, bensì serve a meglio inquadrare dove questi ragazzi, cresciuti calcisticamente nella strada, amavano ritrovarsi in uno spazio che li faceva sognare ed emulare, in qualche caso, le gesta dei più celebrati campioni, che avevano la possibilità e la capacità di cimentarsi negli stadi più conosciuti d’Italia e del mondo.
Ecco dunque “la Vasca” divenire un “Maracanà” in riva all’Adige.
“Era tanta la voglia di divertirmi e, come me, tutti gli altri, racconta il Caina, che non appena avevo terminato l’allenamento col Verona, correvo, sul far delle 6 del pomeriggio, alla Vasca. E lì eravamo in tanti a voler giocare, obbligandoci a fare più squadre se volevamo divertirci, senza tralasciar alcuno ”.
Nell’arco di tempo di circa un decennio da questo mito d’antan sono transitati molti ragazzi che rispondono al nome di Mariolino Corso, Giorgio Maioli, e lo stesso Mascalaito, tanto per citarne alcuni, che di lì a poco avrebbero calcato palcoscenici calcistici mai sperati. “Anche se in fondo al cuore di ognuno– continua- sono sicuro sia rimasto quello stadio più bello: “la Vasca”, da dove hanno iniziato a calpestare il palcoscenico della loro vita calcistica”.
Alle partite, come sempre accade, partecipavano “bravi e brocchi”.
Dovete allora sapere che nel catino della “Vasca” vi era un lato da cui fuoriusciva in continuazione un rivolo d’acqua, rendendo così vischioso il terreno di gioco.
Ecco, da quella parte venivano messi “quelli più sfigati”.
Tra questi vi era un certo Fabio al quale, per convincerlo, dicevano “te si l’unico che ‘l crossa da la destra”.
Dall’altra parte, invece, era quella “de quei boni”. Tra questi vi era anche Walter Donà, divenuto successivamente pilota ufficiale dell’Alfa Romeo e di bob, sì proprio di bob!
Di Walter resta famoso il suo ritorno a Verona da Roma all’inizio del ‘60, quando, a bordo di una bellissima MG spider, fece la sua rentrée in compagnia del cantante Don Marino Barreto Junior. Walter aveva tentato la strada romana del cinema, capitando però nel bel mezzo di quella celebrata “Dolce Vita”, dove sicuramente aveva preferito fermarsi.
Ai Giardinetti dell’Arsenale venivano quotidianamente anche i giocatori del Verona: dai fratelli Stefanini, al rude e generoso Auro Brasiliani, tanto per citarne solo alcuni, che si cimentavano a giocare a squadre di due e due solo di testa, prima di passare al rituale pokerino.
Sì, perché lì si giocava anche a poker, si può dire addirittura ad ogni angolo. Era una vera e propria università! E su questo gioco molti di loro si sono laureati a pieni voti.
Sempre in quegli anni a cavallo tra quelli ‘50 e ‘60 la Brà, per i ragazzi della “Campagnola”, era diventata luogo d’incontro all’alternativo.
Per chiunque volesse entrare in compagnia non era facile, ma una volta superato l’esame il divertimento era garantito.
Si giocava a calcio anche in nobili dimore come dai conti Degli Albertini, ospiti di Beto e Giuseppe, nella loro villa di Garda dove, al triplice fischio, si correva a mangiare pane e salame e…qualche bussolotto di vino.
“Ditemi chi è il più forte “, si sentì un giorno urlare in maniera stentorea da dietro la porta della Sala Biliardi Orsi (I Biliardi Orsi erano in quel tempo il rifugio quotidiano degli studenti durante la “berna” scolastica).
Apertosi il battente ecco apparire un personaggio destinato da sempre a stupire il mondo: Adriano Celentano.
Il giocatore più forte era, neanche a dire, Luciano Trevisan, meglio conosciuto come “Caina”, anche lui l’ultimo dei “Ragazzi della via Gluck”. Pardon della Vasca!
2 Comments
Enzo
C’ero anch’io in quella vasca mitica, dove ci si scorticava le ginocchia, ma si continuava a correre; anche nei prati vicino al passo carraio dell’Arsenale dove si giocava di testa due contro due. Ero tra i più’ giovani, essendo di fine 1945. Ma conservo ancora intatti i ricordi di quelle battaglie calcistiche, che si giocavano anche nello spazio tra le fontanelle e la stradina mediana, tra gli alberi da una parte ed il muretto inclinato dall’altra. Grazie Mac per avermi fatto commuovere , sei un grande sia uomo sia come giornalista, e anche come amico. Enzo
Panathlon D.I.
Caro Enzo, mi hai commosso col tuo ricordo della nostra “asca”, e per quelle parole a me dedicate.
Un fraterno abbraccio dallo…Chopin dell’Area di rigore.