L’appuntamento sarà a Pontremoli il prossimo 9 luglio
Di Alessandro Giusti, Addetto Stampa Panathlon International Area 6 Toscana
E’ stato il complesso monumentale della ex Casa del Boia sulle mura di Lucca ad accogliere per il dodiciesimo anno consecutivo l’anteprima del Premio nazionale Bancarella Sport , giunto alla sua 59esima edizione.
Questa prestigiosa giornata lucchese, che ha visto la partecipazione degli autori dei sei libri già vincitori del Premio Selezione Bancarella Sport, è stata organizzata come di consueto dalla Fondazione Città del Libro , dal Panathlon International e dal panathlon Club di Lucca, in collaborazione con la Fondazione Banca del Monte di Lucca.
Una bellissima anteprima, questa del Premio Bancarella Sport (ideato nel 1964 e tra i cui ideatori vide anche la sezione lucchese del Panathlon Club), che avrà la sua naturale conclusione con la proclamazione del vincitore assoluto del premio sabato 9 luglio in piazza della Repubblica a Pontremoli.
A fare gli onori di casa e ad introdurre la presentazione dei sei libri da parte degli autori è stato il Presidente del Panathlon Club di Lucca Guido Pasquini, poi hanno rivolto il loro saluto ai presenti, in rapida successione, l’assessore allo sport del Comune di Lucca Stefano Ragghianti, il presidente della Fondazione Banca del Monte Andrea Palestini, il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca Marcello Bertocchini e il Presidente del Panathlon International Distretto Italia Giorgio Costa.
Tra gli invitati erano presenti anche il Vice-GovernatoreArea Sei Toscana Gianfilippo Mastroviti, il Presidente del Panathlon Club Pontremoli-Lunigiana Aldo Angelini, il Presidente del Panathlon Club Versilia – Viareggio Vittorio Giusti e la Vice-Presidente del Panathlon Club Pisa Francesca Mugnai.
Ma andiamo a conoscere gli autori finalisti che, dopo la coinvolgente introduzione del padre nobile e anima del Premio Bancarella Sport Giuseppe Benelli, hanno presentato le loro opere stimolati anche dal giornalista Sirio del Grande.
Mario Bartoletti, che già aveva sfiorato la vittoria al Premio Bancarella 2021 con “La Cena Degli Dei”, ha presentato “Il Ritorno degli Dei” puntualizzando che nell’opera precedente c’erano si grandi campioni, grandi assi, grandi Dei, grandi personaggi, ma non c’erano calciatori e allora ha voluto rimediare con questo nuovo libro. Perdipiù, dopo l’uscita della “Cena degli Dei” se n’erano andati a distanza di poco tempo due grandi calciatori come Diego Armando Maradona e Paolo Rossi .
Nel Ritorno degli Dei vediamo infatti Diego e Pablito , due miti assoluti e amici personali di Bartoletti,a cui viene concesso di tornare sulla terra per alcune ore. Il campione argentino decide di recarsi subito a Napoli per vedere di persona lo stadio a lui intitolato mentre Paolo Rossi si trova invischiato in un intrigo semi poliziesco assieme ad un altro dei personaggi presenti nel libro, un commissario capo della squadra mobile al quale Marino Bertoletti ha dato il nome del CT della Nazionale italiana di Calcio Roberto Mancini. Un tributo questo che il mister Mancini ha accettato molto volentieri. Per quanto riguarda la loro collocazione Bartoletti non ha dubbi che entrambi i calciatori siano in paradiso e non soltanto quello dei calciatori, perchè anche se Diego ha sbagliato in vita, chi fa le “alte convocazioni” conosce bene il suo valore profondo.
Alessandro Alciato presenta il suo libro ” Forza gentile” scritto a quattro mani con il calciatore ucraino Andriy Shevchenko; anche quest’ultimo avrebbe dovuto essere presente a Lucca, ma urgenti impegni diplomatici in sostegno al presidente ucraino Zelensky lo stanno tenendo impegnato.
Alciato, giornalista televisivo già autore di molte autobiografie su big dello sport come Ancelotti e Pirlo, ha evidenziato che nel libro è presente più Andriy che Shevchenko.
Sfogliando le pagine di questo libro possiamo rivedere tutti i risultati ottenuti in carriera dal campione ucraino (Champions, scudetti e il “Pallone d’oro” vinto nel 2004 ) ma soprattutto viene mostrato il suo lato più intimo come il suo amore per la famiglia e per il suo paese.
La narrazione parte con gli anni nostalgici ma complessi di Kiev a cominciare dallo scoppio del reattore di Chernobyl, disastro che accade quando lui ha appena nove anni e a cui scampa per poco all’incubo delle radiazioni. E poi c’è l’amore per i troppi sport, tra cui vi è una seria “infatuazione” per l’hockey su ghiaccio, prima di bruciare le tappe nell’adorata Dinamo Kiev e di intaprendere poi una raggiante carriera in rossonero. E’ infatti nel Milan che Sheva vive le sue stagioni più felici. Infine Alciato cita tutte quelle persone che hanno “segnato” la vita e la carriera del grande calciatore come il colonnello Valleriy Lobanovskiy, l’allenatore che gli ha insegnato a “non abbassare mai la guardia”.
La campionessa di fioretto Elisa Di Francisca, anche lei in sala, ha presentato la sua autobiografia “Giù la maschera, confessioni di una campionessa imperfetta” scritta a quattro mani con la giornalista Gaia Picardi, anche lei presente.
Si tratta di una biografia a due facce, dove sia l’Elisa sportiva che l’Elisa privata si presentano in maniera schietta e diretta confermando la simpatia e la verve della schermitrice iesina.
Il suo palmares e una carriera straordinaria la confermano certamente come una delle grandi atlete del fioretto e nel libro si racconta dalla scelta della scherma, su sollecitazione del padre Giacomo, sino alla sua ultima esibizione prima del ritiro anticipato a causa dello slittamento di un anno delle Olimpiadi di Tokyo 2020 .
Anche a Lucca ha raccontato i suoi rapporti con le “colleghe” Valentina Vezzali e Arianna Errigo, che da buoni sono andati pian piano deteriorandosi man mano che le sue vittorie aumentavano.
Elisa descrive il mondo della scherma in modo diretto e senza sottintesi, a viso aperto prendendosi tutta la responsabilità delle sue scelte fino all’ultima rivoluzione della famiglia, tra l’altro presente in sala con il Marito Ivan e i figli Ettore e Brando .
Gianpaolo Ormezzano avrebbe dovuto presentare il suo libro “Io c’ero davvero”, ma il covid gli ha impedito di essere presente. Il grande giornalista piemontese ha comunque mandato un testo in cui ,oltre a salutare e ringraziare Lucca ,sottolinea alcuni aspetti della sua carriera e del suo libro.
“Io c’ero davvero” è chiaro sin dal titolo,partendo dal suo reportage sul suo supercovid racconta di tutti i grandi protagonisti incontrati in una vita da testimone, girando tutto il mondo e frequentando i massimi eventi dello sport. Ritiene di essere un primatista di Olimpiadi da giornalista (ben 25)e di aver seguito tantissimo ciclismo, tanta atletica, tanto nuoto(tritone da ragazzo), e ovviamente tanto calcio, tanta formula 1, tanto sci e tanto basket.
Dichiara di tifare Toro, nonostante sia stato trasversalmente per sessant’anni responsabile per lo sport su Famiglia Cristiana, direttore di Tuttosport e inviato alla Stampa, giornale della Fiat cioè anche Juventus, senza mai eseguire acrobazie morali o essere ruffiano.
La frase che spunta nell’ultima pagina di copertina del libro “Io c’ero davvero” è : io ho avuto tante fortune nella vita, tra queste il non essere nata donna a Kabul e juventino a Torino. Un mio amico davvero grande è stato Giampiero Boniperti, ho tifato Coppi e ho amato, riamato, Bartali. Si può. E grazie a tutti di tutto”. Tutte le tematiche del libro sono poi state approfondite dal Professor Benelli.
Il libro “Patagonia il grande sogno. io e il Cerro torre : una passione ai confini del mondo” di Ermanno Salvaterra è stato presentato da Lorenzo Di Giovanni, che ha seguito il progetto editoriale per Mondadori.
La storia d’amore tra Salvaterra e la Patagonia risale al 1982, dice Di Giovanni, e da lì in poi si è rinnovata fino a tramutarsi in un vero e proprio progetto di vita. In questo libro il grande scalatore raccota le sue ascensioni più importanti sul Cerro di Torre: dal primo tentativo del 1982 all’ invernale del 1985, dall’attacco alle pareti sud ed est fino alla grande impresa del 2005. Eppure questo non è solo un libro di montagna ma un viaggio nell’animo di un uomo guidato da un’incessante ricerca della bellezza. Una ricerca fatta di interminabili attese in parete, di speranze e di delusioni, di gioie per la vetta raggiunta e di sconforto per un tentativo fallito. Lì in quelle terre Salvaterra è stato capace di trovare un senso alle cose, dilatando il tempo e dandogli un valore nuovo. Perchè, per lui, in ogni arrampicata in quella terra magica ai confini del mondo non c’è solo il sapore della sfida,ma anche la vertigine della scoperta e l’incanto di fronte alla maestosa grandezza della natura. Ecco perchè, in qualche modo, la sua storia riguarda tutti noi.
L’ultimo libro presentato è stato “Valentino Rossi, il tiranno gentile” di Marco Ciriello.
L’autore, presente a Lucca, ha spiegato che Valentino è stato il tiranno gentile che ha dominato la storia delle corse in moto; ma il termine tiranno è da intendersi nell’accezione della Grecia Antica, dove il tiranno è il signore della città, colui che ha a che fare con il popolo e con i suoi sentimenti.
Da tipico ragazzo da bar, Valentino è riuscito a riportare il fattore umano, il pilota, nel cuore delle gare. Dall’imitazione dei giapponesi ha creato un nuovo tipo d’italiano che fonde l’antica magia degli etruschi con la cocciutaggine dei samurai delle motociclette innestandosi sulle manie imperiali romane. Discende dai meccanici silenziosi di Giovannino Guareschi disseminati lungo l’Appennino, in bilico tra le storie di Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza. Una storia tra riviera e pista, spiaggia e paddock, impegno e divertimento. Nove volte campione del mondo, oltre vent’anni di duelli e sorpassi, di rivalità aspre e di scelte coraggiose e ora entrato in una dimensione d’attesa.
Valentino Rossi si è ormai trasformato in un marchio, in una scuderia, un’Accademy mantenendo però sempre una dimensione artigianale, genuina, felliniana all’interno di un successo hollywoodiano.
Nei capitoli del libro di Ciriello, che non a caso sono 46, viene presentato il campionissimo di Tavullia con le sue vittorie, le sue sconfitte ed anche il grandissimo dolore per la tragica morte di Marco Simoncelli che di Rossi è stato amico, allievo e di cui certamente ne sarebbe diventato erede.
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