Di Massimo Rosa
Il ricordo di quel 4 maggio 1948 è ancora nitido nella mia pur arrugginita memoria. Gli strilloni di allora gridavano con quanta aria avevano nei polmoni “Il grande Torino non c’è più”.
Era purtroppo vero. La squadra che dominava in quel momento il calcio mondiale si era schiantata contro la Basilica di Superga. I suoi campioni, Valerio Bacigalupo, i fratelli Aldo e Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Giulio Schubert, non c’erano più.
La ferale notizia aveva sconvolto qualsiasi tifoso, facendoli dimenticare ogni rivalità.
Quel 4 maggio 1948 era un giorno uggioso e grigio, quasi a testimoniare il lutto.
Il Grande Torino, per l’alta qualità del suo gioco, era capace di fare battere il cuore non solo dei torinisti ma anche degli avversari, fenomeno mai più ripetuto negli anni a seguire. Il Toro era, oltre ad essere un leader del bel gioco, anche il simbolo positivo di un’Italia in via di ripresa.
Il suo calcio conquistava l’Europa, facendo gonfiare il petto di qualsiasi italiano, tanto era la sua bravura in grado di risvegliare quell’orgoglio andato perso con la sconfitta bellica.
“Il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”, disse Indro Montanelli.