“DICA 33”
Rubrica a cura della Dott. Piera Vettori
E’ del 18 febbraio 1982 il Decreto Ministeriale che norma le modalità per il rilascio del certificato di Idoneità sportiva agonistica in Italia puntualizzando l’obbligatorietà della visita e la periodicità annuale della stessa (biennale per qualche disciplina sportiva).
Con il Decreto vengono introdotti gli accertamenti obbligatori a cui ogni atleta è sottoposto durante la visita con il Medico dello Sport, figura di specialista che esiste solo in Italia dove è nata la Specialità di Medicina dello Sport nel 1957 grazie al prof Margaria.
Quindi in corso di visita oltre all’esecuzione dell’elettrocardiogramma (ed alla sua spesso non facile interpretazione), del test da sforzo, della spirometria, dell’esame urine, del controllo della vista e dei parametri antropometrici si introduce e si riserva anche lo spazio per quelli che sono gli eventuali altri accertamenti, cosiddetti di secondo e di terzo livello da effettuarsi nei casi dubbi o quando emerga qualche dato che non consenta il rilascio del certificato a fine visita.
Si può dire che c’è stata una notevole lungimiranza nel proporre e rendere esecutiva questa procedura tutta italiana per cercare di tutelare al meglio la salute degli atleti. Già perché questo non avviene negli altri stati europei e nemmeno oltre oceano dove la realtà della prevenzione in ambito di popolazione di atleti è stata qualche volta anche contestata. Ci sono voluti decenni, ad esempio, perché la Società Europea di Cardiologia nel 2020 pubblicasse le Linee guida in Cardiologia dello sport in parte sul “modello italiano” come valido esempio da considerare ed imitare.
Nel frattempo, in Italia nel corso degli anni sono state redatte dagli esperti le Linee guida che servono di aiuto e anche di riferimento dal punto di vista medico legale per gli specialisti in Medicina dello Sport, come il protocollo Cocis giunto alla quinta edizione nel 2017 e attualmente oggetto di ulteriore aggiornamento.
Sono pure notevolmente migliorate la formazione universitaria e le competenze dei medici dello sport che qualche volta -loro malgrado -sono costretti a fermare un atleta (e nell’80% dei casi per problematiche cardiologiche); non è certo un gesto che si fa volentieri -quello di “stoppare” un’atleta- sapendo di andar contro ai desiderata dell’atleta stesso, a quelli dei genitori e della società sportiva …..
Lo sforzo di tutti gli specialisti della materia (medici dello sport e cardiologi) è quello di intercettare i segni di un possibile rischio di morte improvvisa, per la maggior parte dei casi segni molto difficili da sospettare, da valorizzare, da identificare…
anche alla luce del fatto che, seppur certi che lo sport di solito fa bene, lo sport stesso può qualche volta slatentizzare delle patologie misconosciute con esiti disastrosi di cui la cronaca qualche volta si deve occupare.
Come ho già avuto modo di segnalare in un precedente articolo la morte improvvisa nell’atleta in Italia ha avuto davvero una riduzione importante negli atleti di età inferiore ai 35 anni a partire dall’introduzione del Decreto Ministeriale del 1982 come è risultato evidente da uno studio dell’università di Padova dedicato a questo fenomeno.
Decreto che non va visto e considerato quindi come un atto “punitivo” ma invece come un mezzo di importante prevenzione e di attenzione alla tutela della salute non solo delle fasce di età più giovane.
La stessa attenzione clinica e diagnostica (con accertamenti più “completi” per certi versi -si pensi al test da sforzo massimale per fare un esempio) è presente e di fondamentale importanza infatti anche nella valutazione degli atleti di età superiore ai 35 anni e negli atleti master con l’obbiettivo di stratificare il rischio cardiovascolare degli stessi.