Un’analisi tecnica sul modus operandi dei due allenatori croati in grande spolvero
Di Romano Mattè – Panathlon Gianni Brera Università di Verona
“Adesso tutti a esaltare Tudor, ma ti che te si trai sapientoni della Tv, prova a pensar dove saria arrivado Juric con questi attaccanti!”.
Con queste parole mi ha (quasi) educatamente apostrofato per strada un vecchio tifoso gialloblù, cui ho replicato altrettanto educatamente che non potevo non dargli ragione.
Juric non ha avuto a disposizione questi attaccanti (Simeone, Caprari e un Kalinic quasi recuperato) altrimenti avrebbe portato l’Hellas non dico in “zona-Champions” ma di certo in zona “Europa League”. Nello scorso campionato solo il 30% dei palloni giocati sul “lungo” veniva domato e ripulito in avanti, pertanto quel Verona doveva forzatamente andare ad azzannare le seconde palle. L’arrivo di Lasagna -agile, rapido, ma senza quella “potenza-peso” per strappare sulla lunga profondità- aveva alzato di poco (sul 10%) quella percentuale; per contro la sua presenza consentiva di impegnare i centrali difensivi e di incidere maggiormente all’1>1 negli ultimi 20-25 metri offensivi. Pertanto l’opzione strategico-tattica di ripartenza collettiva in quell’Hellas era tatticamente e forzatamente obbligatoria e dominante. La rete di Pessina contro il Parma su splendido assist “a pallonetto” di Verre in ripartenza individuale verticale dritto per dritto, è stata una rara e spettacolare eccezione. La formula offensiva 2+1 con due tuttocampisti come Zaccagni (più dotato di fisicità temperamentale) e Barak (più tecnico e creativo) era la fondamentale tattica “difensiva-offensiva” dell’Hellas. Questi due uomini galleggiavano tra le linee, sporcavano, drenavano e ritardavano il primo passaggio in uscita degli avversari creando imprevedibilità tattica (chi esce a prenderli?) e liberando le fasce laterali per gli affondo delle vere ali, ossia dei due esterni bassi (i vecchi nobili terzini) che sgommavano furenti partendo da lontano in ripetuti affondo difficilmente controllabili all’origine.
Queste ripartenze collettive a valanga corta, compatta, ordinata, intelligentemente aggressiva e propositiva, sostenuta sulle corsie laterali da una tambureggiante e quasi ossessiva manovra avvolgente, portavano sei-sette uomini negli ultimi 20-30 metri offensivi richiedendo un dispendio psico- energetico che si poteva reggere solo se supportato da una rigorosa e puntuale metodologia di lavoro creando però nel contempo un “debito” che l’Hellas avrebbe pagato nel girone di ritorno (20 spettacolari punti in andata, 15 sofferti nel ritorno!).
Anche Tudor costruisce “lungo” (lo stesso Montipò non scarica quasi mai sul “corto”) saltando il centrocampo e mettendo all’1>1 contro i difensori avversari i due attaccanti innescando così ripartenze individuali con puntamento al cross immediato e battente (per Simeone o Kalinic) dagli esterni o alla immediata finalizzazione dopo un 1>1 vincente sottomisura.
Caprari (bella e fortunata rivelazione!), talentuoso atipico d’attacco, assicura, accrescendo ulteriormente l’imprevedibilità della fase offensiva, più soluzioni: oltre all’assist dal fondo linea largo e a quello sul corto tatticamente micidiale (prende d’infilata le linee difensive avversarie in recupero), può tagliare a chiudere (sinistra-centro) e battere a rete di destro con efficacia avendo anche piede morbido per rifinire come un raffinato trequartista sui tagli di Simeone o Barak o sulle penetrazioni verticali delle secondo linee. Con questi attaccanti l’Hellas ha il terzo reparto offensivo più prolifico del torneo. Tudor dispone pertanto di entrambe le opzioni strategico-tattiche: le ripartenze individuali (il vecchio e nobile contropiede!) e le ripartenze collettive che sono sempre importanti ma non così dominanti come lo erano nell’Hellas dell’amico e collega Juric.
I due allenatori, qualora possano progettare e costruire una squadra, hanno filosofie selettive similari: scelgono uomini che abbiano precise, nette, spiccate qualità tecniche, atletiche e caratteriali. Costoro devono saper reggere a un’alta intensità di gioco con una buona tecnica di base, devono avere fisicità temperamentale, carattere irriducibile, saper reggere alla dolorosa fatica, azzannare intelligentemente l’avversario e non arrendersi mai, specie nei momenti di sofferenza. Entrambi vogliono disporre di giocatori che siano la proiezione attualizzata del loro carattere, (soprattutto Juric!) del loro modo di intendere calcio. E’ nell’approccio con i giocatori che i due sono diversi. Mentre Juric è esigente prima di tutto con sé stesso, rigoroso e perfezionista fino alla maniacalità, immediato, schietto, talvolta anche in modo educatamente brutale, Tudor per contro ama imporsi con la sua competenza e con la sua corporea fisicità, è più dialogante e, a differenza del collega, dispone di uno staff completamente nuovo che richiede tempo per rodarsi e compattarsi in totale sintonia con il nuovo tecnico e con la sua visione di calcio. Entrambi hanno quella innata capacità (non è da tutti!) di entrare nella testa e nel cuore degli uomini creando quella forza nascosta, invincibile, che è l’empatia che esalta a dismisura il valore di una squadra rimandandola vincente anche nella temporanea sconfitta. Entrambi hanno anche un’altra grande qualità in comune: quella d far crescere il valore dei propri giocatori.
Si ringrazia l’Hellas Verona per la cortese concessione all’utilizzo delle foto di questo articolo.