Un giornalista affermato e uno in erba a confronto
di Edoardo Mario Francese – Redazione Gianni Brera Università di Verona
I sogni miei, i sogni di chi vuole diventare giornalista sportivo e gli obiettivi di chi lo è già avendo alle spalle un curriculum di pregio: Furio Zara. Quando si tratta di “narrare” un evento o un personaggio si intraprende un duplice viaggio: una volta individuata la notizia, il discorso narrativo deve procedere in maniera lineare.
Tanti i temi trattati: background, gioventù, nuovi orizzonti del giornalismo e aneddoti divertenti. Un’ottima occasione per comprendere le dinamiche del giornalismo sportivo attraverso il racconto di Furio Zara, giornalista di successo.
-Cosa ti piace della tua professione e quale è stata la molla?”
“Sicuramente la passione, la curiosità e il viaggio che si intraprende ogni volta. Mi spiego: quando racconto una storia c’è una motivazione che mi spinge a farlo e così nasce un doppio viaggio: introspettivo nella storia dell’evento o della persona raccontata (se parlo di Bolt parlo anche delle sue gare, dei suoi punti deboli e forti, della sua vita) e poi alla scoperta di me stesso, perché ogni volta che racconto una storia di sport scopro qualcosa di me stesso; perché la vivo e la rielaboro con sensibilità e conoscenze nuove, date anche dall’età. Questo viaggio dentro e fuori se stessi è “lo stimolo e la molla che fanno scattare l’innesco del mio lavoro”.
-Il giornalismo è cambiato e sta cambiando: come credi che cambierà ulteriormente?
“Credo che cambierà così velocemente che paradossalmente non ce ne accorgeremo neanche, saremo sempre costretti a trovare nuove forme di racconto per stare al passo coi tempi. Chi avrebbe mai pensato, anni fa, che la narrazione oggi fosse sui social? Nessuno. Quindi non so rispondere, vedo un orizzonte ancora sfumato. Credo però che alla fine prevalga la qualità, la capacità di andare in profondità e raccontare ogni evento con la giusta distanza. Il futuro si può solo provare a ipotizzare. Nella nostra professione credo sia importante farsi trovare pronti, cioè avere strumenti in mano per adattarsi, questo è un valore aggiunto per chiunque.
–Su quali aspetti del giornalismo sportivo occorrerà investire?
“Paradossalmente sulla memoria. Provo a spiegarmi. Viviamo in un tempo che consuma tutto molto in fretta, la notizia di stamattina al pomeriggio è già vecchia, quindi si consuma molto in fretta e perde inevitabilmente valore. Dare il giusto riconoscimento alle notizie sportive dà forma alla natura del giornalista; è bene riconoscere le notizie che restano nel tempo e quelle che sono fuffa. Identificare le cose che contano e renderle preziose nello scrigno della memoria è una cosa fondamentale nella figura del giornalista. Questo è un esercizio utilissimo”.
–Cosa ti aspetti dai giovani che saranno i prossimi protagonisti del lavoro e del giornalismo?
“Mi aspetto tutto il meglio possibile. Sono sicuro che sapranno far meglio delle generazioni precedenti, è inevitabile. L’uomo che cammina nel tempo, nonostante tutto, è destinato a migliorare sé stesso e le proprie prestazioni nel mondo. Credo che avranno maggior velocità sia nell’individuazione che nel racconto dell’evento sportivo; in più dovranno essere capaci di sviluppare un discorso narrativo attorno ad un evento. Faccio un esempio: se la notizia è che l’Italia vince gli europei, il lettore vuole andare più a fondo e conoscere altre dinamiche (come ci si è arrivati, come ha giocato la squadra e così via). La bravura del giornalista del futuro dovrà essere quella di andare a fondo nelle domande che gli pioveranno addosso, che saranno molte di più di quelle che sono oggi”.
–Che consigli dai a chi vuole cimentarsi?”
“Studiare, leggere moltissimo e di tutto, da Dostoevskij a Ibra perché anche nella biografia di Ibra c’è qualcosa di Dostoevskij. E poi scrivere, allenare il proprio talento e alimentarlo con passione e cercare in tutti i modi di farne il piedistallo solido per la propria crescita”.
–Come ti vedi tra 10 anni?
“Mi vedo curioso come lo sono ora, con qualche competenza in più e con la possibilità di fare cose che mi piacciono, cioè lavorare a progetti sportivi che recuperino il fuoco della passione che avevo a 15 anni, l’età in cui si viene marchiati dallo sport”.
–Quali errori non rifaresti, a livello professionale?
“Ce ne sono un sacco. Certe volte ho sbagliato articoli, approcci, ho mal valutato delle notizie, ho sottovalutato alcune persone che erano in realtà ricche di belle storie sportive. Sono errori che facciamo tutti e tutti i giorni. Le scelte sbagliate comunque mi sono servite e credo sia stato tutto utile per la mia formazione e per come sono adesso. Ogni volta mi sento felice di sperimentarmi in cose nuove, gli errori fanno parte del gioco e bisogna usarli per migliorare”.
–La colonna sonora della tua carriera professionale?
“Vado a sensazioni e direi quelle di De Gregori, perché mi hanno accompagnato fino a qua e ancora lo ascolto con piacere. Da “Generale” a “Niente da capire”, a “Rimmel”, a “La donna cannone”, sono tantissime”.
–Per concludere, domanda alla Marzullo: fatti una domanda che avresti sempre voluto sentirti fare e datti una risposta.
“La domanda è: sei ancora quel Furio che a 15 anni era innamorato del pallone e dello sport? Sì, e spero di essere rimasto quel ragazzo che sognava di raccontare lo sport di cui era innamorato. Spero di aver saputo mantenere quella passione”.
Le foto, i video, le caricature, i ritratti, presenti su PANATHLON PLANET sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, basterà segnalarlo alla Segreteria di redazione: segreteria.redazione@panathlondistrettoitalia.it, che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate, segnalando prontamente il nome del fotografo. Si ringrazia comunque l’autore.
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