di Romano Mattè REDAZIONE G.Brera Università di Verona – Area1 Veneto Trentino A/A
La scelta di Eusebio Di Francesco (contratto biennale) come nuovo allenatore dell’Hellas ha sorpreso un po’ tutti ma chi sa di calcio non può farsi condizionare dalle sue due ultime esperienze negative (Sampdoria e Cagliari) che non cancellano gli ottimi risultati ottenuti con il Sassuolo prima e poi anche con la Roma nonostante la relativa brusca separazione.
Su Di Francesco, sotto il profilo umano, ha espresso un lusinghiero giudizio Damiano Tommasi, suo compagno di squadra ai tempi della Roma: “E’ un leader silenzioso di grande carattere!”. Non sarà facile per lui raccogliere la pesante eredità di Juric ma sono certo che la sua grande voglia di riscatto professionale sarà tale da colmare il vuoto di un rapporto risolto con un doloroso divorzio.
Il modulo da cui Di Francesco è partito è il 4-3-3 zemaniano che presenta un piccolo problema: si fatica a marcare il play basso avversario per cui a turno una punta, soprattutto quella centrale, deve sacrificarsi per coprirlo o schermarlo. Ma per Di Francesco questo modulo non è un dogma, né un mantra: è stato semplicemente un punto di partenza.
Un allenatore deve avere una mentalità elastica e sapere intelligentemente mediare tra le proprie idee tattiche di base e ciò che più si sposa con le caratteristiche (tecniche, tattiche, anche psicologiche) dei giocatori a disposizione. Questo concetto di elasticità pragmatica è centrale nella tesi con cui si diploma a Coverciano (Master 2010). Di Francesco ama la verticalizzazione, l’attacco alla profondità: due passaggi in orizzontale per lui sono già troppi.
Il possesso palla può essere un’arma tattica utile ma non deve essere insistito e fine a sé stesso. Se l’Hellas di Juric giocava di “costruzione lunga”, Di Francesco ama una fase di costruzione diversa: mentre per Juric il riferimento è soprattutto l’avversario, per un “1>1” a coppie fisse, puntuale, anche ruvido, a tutto campo, per Di Francesco è la palla. Il suo approccio al gioco ha una posizione più zonista ma anche per lui, come per Juric, l’obiettivo è identico: fare la partita, possibilmente dominarla, essere sempre propositivi.
In fase di non possesso a Di Francesco piace avere sempre superiorità numerica nella zona in cui la palla è tenuta dagli avversari per riconquistarla il più velocemente possibile. Non si pressa alto sempre e comunque: a volte occorre anche effettuare un intelligente e cauto temporeggiamento.
Nella scelta della tipologia dei giocatori (in questo i due tecnici sono molto simili!) vengono privilegiati uomini di carattere, di forza temperamentale, disposti al sacrificio reciproco e al duro lavoro di squadra. Nell’Hellas che verrà non ci sarà, come si temeva, un problema di modulo: Di Francesco ha abbracciato la difesa a tre pur riservandosi di declinarla in modo diverso. Gli attaccanti devono essere abili nell’ “1>1”, operare come primi difensori e saper sfruttare anche gli errori degli avversari. E’ nota una sua affermazione: “Un mio attaccante non mi deve mai dire: non me l’aspettavo!”. Il gioco di Di Francesco necessita di un grande play e all’Hellas lo troverà in Veloso, leader carismatico prima nello spogliatoio e poi prezioso lettore di gioco in campo.
Non mi sembra che il profilo tecnico-tattico, ma anche umano, del nuovo tecnico dell’Hellas abbia subito nel tempo sostanziali variazioni ma solo elastici adattamenti alle varie realtà in cui ha operato con alterna fortuna. Tali adattamenti mi ricordano la lucida e per certi aspetti spietata e triste morale gattopardiana: “Tutto cambia perché nulla deve cambiare”. In chiave calcistica potremmo aggiungere: “Tutto cambia, tutto muta, ma tutto ritorna”.
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