Il Calcio di Romano Mattè
Nella nostra massima serie più del 20 per cento dei gol viene realizzato dai difensori, che sui vari “piazzati” possono salire e cogliere il loro momento di gloria e la loro sottile vendetta, quasi una nemesi tattica. I centrali difensivi, che di solito hanno statura e potenza adeguate, sono avvantaggiati quando attaccano perché la situazione in area è sempre caotica e basta un “blocco” anche appena accennato per rubare il tempo al controllore avversario.
Chi difende dovrebbe in teoria essere più avvantaggiato, avere vita più facile rispetto al collega avversario che viene all’attacco in queste situazioni, ma non è così. Viene da chiedersi di chi sia la colpa: della difesa disposta più a zona che a uomo, delle nuove regole che in area favoriscono chi attacca e penalizzano chi difende, di chi tende a barare con la simulazione o, più semplicemente, ciò dipende dal fatto che ci si difende meno? Quello che è certo è che se l’avversario mi manda due “lunghi” a saltare devo marcarli a uomo vedendo di staccare con loro, sia pure a contatto, senza commettere fallo ma mandandoli fuori tempo nella coordinazione sullo stacco.
E’ accaduto che nei vivai da tempo si lavori più sulla tattica difensiva di reparto e poco, o nulla, sulla tattica difensiva individuale. I colleghi che allenano nella nostra massima serie lamentano questa grave carenza nella didattica individuale difensiva. Vedo difensori che puntati all’uno contro uno sono in grave impaccio: non sono coordinati sul piano biomeccanico (gambe allargate con più ampio poligono d’appoggio, il che li penalizza sul cambio di direzione in corsa), non si concentrano sulla palla ma abboccano alle finte di corpo dell’avversario che li punta non mandandolo quasi mai, con una pressione “a invito”, sugli esterni.
L’attaccante non va aspettato ma cercato e, possibilmente, anticipato. Sulla palla dalle corsie esterne la posizione corretta è quella di disporsi in leggera diagonale per avere insieme visione della palla e dell’avversario, ma se la palla è coperta bisogna marcare stretto l’attaccante vedendo di anticiparlo con una rapida e intelligente lettura della traiettoria e della velocità della palla. L’avversario forte nell’uno contro uno secco e spesso vincente o va anticipato o va aspettato e marcato “di reparto”, o “di squadra” creando una serie di ostacoli progressivi là dove dovrà passare dopo aver saltato il primo uomo. Se uno come Messi, tanto per fare un esempio calzante, viene marcato a uomo, lo si potrebbe togliere per qualche tratto dalla partita ma non dagli episodi decisivi perché farebbe con facilità la cosa più difficile, quella di saltare in dribbling il suo diretto controllore. Anche gli attaccanti solidi e potenti di grande fisicità (vedi Lukaku, Zapata, Dzeko) non vanno marcati a contatto perché in questo caso si darebbe loro un punto di appoggio che cadrebbe di schianto nell’impatto-urto con questa dirompente fisicità. Questi panzer d’attacco o vanno anticipati o li si pressa quasi a contatto andando coordinati al contrasto appena questi toccano palla. Altro errore comune del difensore è quello di aspettare da fermo o frontalmente l’avversario che affonda in velocità venendo così infilati, come polli allo spiedo, anziché assorbire e accompagnare l’avversario sugli esterni.
Non entro nella querelle su quale sia la migliore tra marcatura a zona o a uomo sui calci d’angolo. Personalmente preferisco una disposizione mista con tre marcature a zona: un uomo forte nell’interdizione aerea all’altezza del dischetto del rigore a cercare palla, uno largo sul secondo palo per assorbire e accompagnare chi attacca sul lungo e uno ai nove metri per schermare chi batte l’angolo e per impedire passaggi a ritroso volti a favorire chi attacca sul secondo palo dandogli più tempo per rincorsa e stacco e per avere un uomo in più pronto all’offensiva sulla palla eventualmente respinta dalla nostra contraerea difensiva.
Noto che sui calci piazzati ravvicinati (20-26 metri) qualche squadra piazza alle spalle della propria barriera il cosiddetto “coccodrillo”, un giocatore schierato orizzontalmente per intercettare eventuali palloni filtranti tra i corpi dei “barrieristi”. Va ricordato che la barriera deve essere prefabbricata, per così dire, e diretta da un capo-barriera che si coordina soltanto con il proprio portiere. Condivido questa mossa solo se la barriera, a un secco comanda, stacca verso l’alto per intercettare ed eventualmente alzare le palle con traiettorie a giro.
Grande e maniacale attenzione va data ai dettagli che sono spesso letali (in cauda venenum!). La barriera va coperta sul lato esterno per intercettare passaggi laterali o pallonetti a scavalcare, il portiere da sempre coperto da un difensore (possibilmente rapido e intelligente) perché la palla calciata su azione da fuori area o battuta su di un piazzato potrebbe sfuggire al portiere o colpire i legni. Il grande attaccante, il rapace d’area, gioca anche sull’errore del difensore o del portiere avversario: ecco perché quest’ultimo deve essere sempre coperto.
L’ultimo Mondiale (Russia 2018) oltre ad avere sottolineato l’importanza spesso decisiva per il risultato delle situazioni di palla inattiva (angoli e piazzati vari) ha segnato anche il declino della tattica del possesso palla, ha ribadito l’importanza fondamentale del sistema difensivo nonché l’efficacia del vecchio e nobile contropiede, chiamato ora ripartenza sotto una forma tecnica più evoluta grazie auna fulminea verticalizzazione.
Vi è anche un altro motivo per cui dietro vi è minore capacità difensiva, dovuto questo all’imporsi a suo tempo della scuola spagnola del Barça di Guardiola (2010) che molti hanno imitato nel bene e nel male. Il “Pepp”, per avere più qualità nella ripartenza offensiva e quindi maggiori possibilità di finalizzazione, per primo ha rinunciato ai marcatori puri di ruvido piede abbassando sulla linea difensiva dei centrocampisti di buon piede più portati alla costruzione del gioco che non alla difesa vera e propria. Recentemente, con il suo Manchester City, anche Guardiola ha compreso che andava trovata una virtuosa mediazione tra il concetto del dominio della palla (Cruyff) e l’equilibrio difensivo.
Assistiamo ora anche alla rivisitazione di un nobile passato, per noi vincente, riveduto e corretto in chiave moderna senza rinnegare la filosofia tattica della zona. L’Atalanta di Gasperini è l’esempio più felice di questa sintesi. Quando perdono palla gli atalantini non scappano all’indietro ma corrono in avanti. Il loro pressing alto non è quello classico del gioco a zona, che è atto collettivo di squadra, ma somma di pressioni alte: uno contro uno, uomo contro uomo, a coppie fisse, a tutto campo. Questo uno contro uno, il classico marcamento a uomo ruvido, feroce, rognoso, puntuale, tremendamente dispendioso, richiede una condizione psicofisica massimale supportata d un’alta soglia aerobica e da una notevole capacità di resistenza alla velocità. Questa spesa psico-energetica è talmente massacrante che l’Atalanta talvolta si deve arrendere non tanto all’avversario quanto al proprio sfinimento, alla propria fatica, morendo, come s’usa dire, di sé medesima.
Come si vede, c’è sempre una terza via tra due scuole di pensiero tattico, la difesa a zona e quella a uomo, e l’Atalanta ne è una pratica e plastica dimostrazione. Si torna al passato (difesa a uomo) rivisitandolo e riproponendolo in chiave moderna (difesa a zona) in un calcio in piena evoluzione in cui la qualità non fa più la differenza se non è associata e supportata da una forte fisicità temperamentale. Nulla si crea e nulla si distrugge, qualcuno l’ha affermato qualche secolo fa. Nulla muore dentro di noi, nella vita come nel calcio. Il passato è anche presente e futuro insieme nella vita come nel calcio, che è nella sua essenza espressione di vita e di libertà creativa.