Qui Reggio Calabria – Tonino Raffa – Area8
Tifosi di tutta Europa unitevi, tenetevi forte e preparatevi a stravolgere le vostre abitudini. Sta per arrivare la rivoluzione epocale, non nel nome dello sport e dello spettacolo dal vivo, ma nel nome del Dio denaro. Il lungo braccio di ferro tra l’ECA (l’associazione che rappresenta duecento club del vecchio Continente, presieduta da Andrea Agnelli) e l’UEFA starebbe per concludersi con un armistizio, i cui contenuti sono stati anticipati dal “Financial Times”. Dal 2024 scatterà una riforma che spazzerà via la Champions e l’Europa League. Avremo una formula allargata e articolata diversamente con una Superchampions, una nuova Europa League e un terzo torneo ancora da definire. Il progetto coinvolgerebbe 96 squadre in tutto contro le attuali 80.
La Kermesse comincerebbe in agosto per concludersi nel mese di maggio, Nel triennio 2024-2027, si dovrebbero disputare ben 647 incontri ! Un business da quasi 6 miliardi di euro, con più partite, più sponsorizzazioni e una lievitazione notevole dei diritti televisivi. Più che un armistizio sembra un passo intermedio verso quella Superlega vagheggiata dal grande potentato economico, osteggiata dall’Uefa (che sinora, come massimo organismo calcistico, ha tenuto saldamente in mano l’organizzazione delle competizioni, distribuendo i proventi alle società), dalle Leghe e dai piccoli club, che temono un declassamento dei campionati nazionali. L’ipotesi di accordo, che somiglia a una “Joint venture” e andrà presto all’esame della commissione esecutiva dell’UEFA, attribuisce sempre a quest’ultima l’organizzazione dei tornei, ma prevede molta più influenza da parte dell’ECA sul format delle manifestazioni, sulla redistribuzione degli utili e sulla programmazione dei calendari. Una strada già tracciata, in sostanza, per entrare nella stanza dei bottoni. Se l’idea dovesse concretizzarsi, le partite delle coppe europee si giocherebbero nei week-end e quelle dei campionati nazionali il mercoledì, con effetti letali sui bilanci (già in rosso) dei club di provincia che rappresentano invece il tessuto connettivo del movimento. La marcia rivoluzionaria ha subito una forte accelerazione per l’esplodere dell’epidemia. Gli stadi chiusi al pubblico hanno fatto venire meno la voce incassi al botteghino, mentre non è stato possibile ridurre il monte ingaggi e sono aumentate le spese correnti.
La pandemia ha colpito duro e si stima ad oggi una perdita tra i sei e gli otto miliardi di euro. Per i top club, il calcio deve puntare su un mercato televisivo sempre più globalizzato, per offrire un prodotto di elevato livello ad una platea di abbonati sparsi per il mondo. Non mancherebbero finanziatori importanti. La super-banca americana JP Morgan si è dichiarata pronta a investire nel triennio sei miliardi. Diciamo che è solo un aspetto del problema, perché ci stanno pure le ragioni degli oppositori. I quali sostengono che una futura superlega, con un meccanismo che probabilmente non decreterà retrocessioni, è una mossa contraria al principio del merito sportivo. E ricordano che negli anni scorsi un ragionevole punto di equilibrio, fu raggiunto sotto la gestione di Artemio Franchi, con l’introduzione del criterio della mutualità nella ripartizione dei proventi (poi ribadito, in qualche modo, dalla legge Melandri sui diritti radiotelevisivi). Perché la mutualità ? Perché le grandi (Juventus, Inter, Milan, Roma, Napoli) si qualificano per le competizioni europee, e incassano i relativi diritti, in quanto in Italia vincono contro Spal, Lecce, Verona, Cagliari, Genoa, Crotone e le altre provinciali. Apparve normale allora introdurre un equo principio di ripartizione. Un super-torneo blindato, senza retrocessioni, salvaguarderebbe l’élite ma sbarrerebbe la strada alle sane realtà di provincia come l’Atalanta o il Sassuolo, squadre che rendono interessante la nostra massima serie e possono rivendicare legittimamente un posto in vetrina. E poi, siamo sicuri che con l’avvento della Superlega (che oltremanica chiamano già “European Premier League”) il livello del nostro calcio crescerà? Siamo reduci dell’ennesima figuraccia con l’eliminazione delle nostre rappresentanti in Champions e in Europa League, ad eccezione della Roma. Non è un problema di oggi e nemmeno di ieri. E’ storia consolidata purtroppo, a parte le lontane parentesi del Milan di Sacchi, della Juve di Lippi e dell’Inter di Mourinho. Spesso le big del Continente ci sbattono fuori perché l’Italia del calcio pensa solo al presente e non al futuro. Riforme zero, niente investimenti sui vivai, sulle strutture e sugli stadi. Si inseguono, per esempio, i piazzamenti per la Champions e per L’Europa League per intascare i proventi, poi, durante la stagione, gli impegni internazionali diventano un peso e un intralcio perché tolgono energie fisiche e nervose a quanti lottano per lo scudetto! Né si vedono all’orizzonte dirigenti capaci di guidare una rifondazione. Bisognerebbe, per esempio, salvare i tornei dilettanti, fermi da un anno, consapevoli che una piramide senza base e senza mattoni intermedi è destinata a cadere. Con lo stop alle attività dei settori giovanili, dovuto al Covid, una generazione di calciatori potrebbe andare perduta. I presidenti sanno solo litigare sui diritti televisivi (partita perennemente aperta), gli allenatori sono quasi obbligati a sposare il tatticismo speculativo invece di puntare al cambio di mentalità per mandare in campo squadre aggressive e tentare di imporre con coraggio il loro gioco. E se le cose vanno male, alla fine la pandemia e gli errori degli arbitri diventano sempre comodi alibi. Arriveremo dunque alla Superchampions e probabilmente più in là alla Superlega.
La faranno da padroni gli sponsor e le grandi reti televisive, gli spalti saranno sempre più vuoti perché il pubblico seguirà tutto dal divano di casa. Sembra passato un secolo da quando la Lega di Milano vietava le dirette, imponeva nelle ultime quattro giornate lo stop alla leggendaria squadra radiofonica di “Tutto il calcio minuto” per salvare il sacrosanto principio della contestualità di svolgimento di tutte le partite nello stesso giorno e nello stesso orario. Per vedere i gol si aspettava novantesimo minuto, con la suggestione delle immagini in bianco e nero. Quello era romanticismo puro, legato a un calcio che non c’è più. Adesso siamo passati dal bianco e nero al colore dei soldi. Ma rischiamo di fare la fine dell’Italia del Rugby che, entrata nel Sei Nazioni senza aver colmato il gap storico con gli altri Paesi, rimedia sconfitte in serie con punteggi imbarazzanti.