«La base del suo pensiero e del suo modo di rapportarsi alla squadra è rappresentata dall’empatia”
Da Verona, Enrico Brigi
Dopo il grande campionato disputato lo scorso anno, l’Hellas di Ivan Juric è partito con il piede giusto anche in questa nuova stagione. Nonostante i tanti infortunati e una squadra completamente rinnovata, priva degli uomini migliori passati a vestire maglie di altri club, il tecnico croato è riuscito nell’impresa di ricreare la giusta alchimia. Un girone di andata terminato con il considerevole bottino di 30 punti, oltre a rappresentare un risultato probabilmente superiore a ogni aspettativa, consente alla società di considerare quasi raggiunto – salvo imprevisti – l’obiettivo della salvezza, da tutti considerato come unico, o quantomeno principale, traguardo da raggiungere.
Una cosa, comunque, è certa: il vero valore aggiunto dell’Hellas è proprio l’ex allenatore di Crotone e Genoa. Accolto con ingiustificata diffidenza al suo arrivo a Verona, l’allievo di Gasperini, ha saputo conquistarsi con il tempo e con i risultati l’affetto incondizionato di tutto l’ambiente. Ora che qualche club l’ha messo nel mirino i tifosi sarebbero addirittura pronti a tutto pur di non farlo partire.
Per capire meglio l’uomo e l’allenatore ne abbiamo parlato con Romano Mattè, decano degli allenatori veronesi, mister decisamente esperto ma, soprattutto, grande conoscitore di calcio.
«Per comprendere e capire l’uomo Juric serve prima conoscere la storia del paese dove è nato e la sua etnia. I croati, infatti, non sono slavi ma sono mitteleuropei, profondamente cattolici, che nella loro storia hanno combattuto con la cristianità, fin dalla Guerra dei 30 anni. I croati sono considerati i più grandi mercenari della storia – nel senso più nobile del termine, tengo a precisare – assieme agli svizzeri e ai greci. Essi hanno combattuto nelle fanterie di terra della Serenissima – erano appunto chiamati “fanti de tera” – mentre i dalmati erano i cosiddetti “fanti de mar”. Juric, quindi, è il risultato finale di questa cultura che ha prodotto mercenari molto fedeli, dotati di un grande carattere che non conosce la parola resa.»
Parliamo, invece, di Juric allenatore e della sua idea di gioco.
«Per riuscire a comprendere fino in fondo la sua figura di allenatore bisogna sempre collegarsi al suo retroterra storico. Per Juric il modulo è sicuramente importante ma non è tutto. Esso, infatti, non deve essere calato sugli uomini – tipico errore “sacchiano” – ma deriva dalla lettura attenta del materiale umano a disposizione che determina il modulo stesso. Parliamo, quindi, di una filosofia completamente rovesciata. La vera cosa importante è l’organizzazione tattica, intesa nella fase di possesso ma, soprattutto, in quella di non possesso. Essa deve essere ferrea, maniacale, rigorosa, in grado di salvarti nei momenti di difficoltà. L’attenta lettura situazionale, inoltre, accresce il coraggio dei giocatori e prevede che ognuno di loro abbia già letto la situazione prima ancora di ricevere la palla. La palla deve, quindi, essere servita sempre sulla corsa al compagno che deve avere la postura corretta per poter bruciare i tempi di controllo. Un giocatore che prima riceve e poi legge è un giocatore tatticamente “ignorante”. Poter disporre di giocatori in grado di sapere sempre come comportarsi in fase di possesso e non possesso, consente anche a un allenatore di poter cambiare modulo nel corso di un incontro, senza destabilizzarli tatticamente e mentalmente, a condizione, però, che i cambiamenti nell’arco dei novanta minuti non siano troppi».
Cerchiamo di capire, a questo punto, il 3-4-2-1, il modulo tattico scelto da Juric.
«Il suo modulo base è appunto il 3-4-2-1 dove i due trequartisti sono, di fatto, due “tuttocampisti”. L’esempio lampante è rappresentato da Zaccagni, giocatore provvisto di una buona base tecnica che sa difendere e affondare, dotato di buona gamba e della capacità di rifinire e finalizzare. Nel gioco di Juric i due trequartisti giocano alle spalle della punta centrale che si muove quasi sempre in orizzontale. Si muovono tra le linee, sporcano il primo palleggio in uscita in costruzione degli avversari e nello stesso tempo creano filtro, drenaggio e imprevidibilità, in quanto spezzano la linea difensiva avversaria e diventa difficile per l’avversario di turno capire come andarli a prendere. Giocando a ridosso dell’asse centrale, inoltre, lasciano le fasce libere per le due vere ali di questo modulo, rappresentate dagli esterni bassi».
Si tratta, però, di una disposizione tattica che richiede un’ottima condizione fisica.
« L’interpretazione di questo modulo voluta da Juric richiede un enorme dispendio di energie in quanto attua a più riprese nell’arco di un incontro quella che viene chiamata “ripartenza collettiva” con cinque/sei uomini che in fase di ripartenza si riversano negli ultimi 20/30 metri. Questi repentini ribaltamenti di fronte necessitano di una grande base psicofisica. Grazie ad un attento lavoro effettuato in sede di preparazione dal prof. Barbero, il gruppo dispone di un’alta soglia aerobica che ritarda il più possibile l’inizio dell’accumulo di acido lattico, consentendo ai giocatori di mantenere grande lucidità anche nelle fasi finali di una partita, che sono spesso le più concitate. Il gruppo, inoltre, lavora molto anche sulla cosiddetta ripartenza veloce, quella che noi allenatori chiamiamo resistenza alla velocità, importante peculiarità che consente ai giocatori di effettuare più volte nel corso di una partita delle ripartenze al massimo della velocità. Il lavoro atletico, comunque, è oramai condizione imprescindibile per il raggiungimento di determinati standard qualitativi e quantitativi.»
Uno dei principali pregi di Juric, da tutti riconosciuto, è anche quello riuscire a creare un rapporto forte e coeso con i propri giocatori.
«La base del suo pensiero e del suo modo di rapportarsi alla squadra è rappresentata dall’empatia, termine che deriva dal greco “empátheia”, un sistema di comunicazione tra individui che consente di esaltare i valori di ogni collettivo. Ogni giocatore si identifica con le speranze e le attese dei propri compagni che diventano anche sue. Siamo davanti a un collante magico che si forma all’interno dello spogliatoio, tra i giocatori e tra giocatori e allenatore, dove tutto nasce e tutto muore.»
Per un giocatore, tuttavia, capire la sua filosofia non è così facile.
«Juric ha un rapporto estremamente diretto con i propri giocatori. Si tratta di un allenatore che usa bastone e carota, un sistema grazie al quale aumentano le capacità di crescita di un ciascuno. Per rendere al meglio e migliorarsi, però, non bisogna essere permalosi e saper accettare le indicazioni, diversamente il risultato finale è completamente diverso. Per dare un’idea di tutto questo ricordo due dichiarazioni, ai molti forse sfuggite, rilasciate lo scorso anno da Verre – quest’anno tornato alla Sampdoria – e Faraoni. Il primo ha confessato di non essersi mai allenato con così tanta intensità, rammaricandosi di non aver mai avuto occasione di farlo prima, mentre l’attuale esterno gialloblù vede in lui l’allenatore ideale per crescere, a condizione però di rimanere umili e con la voglia di imparare.»
Quindi, se dovessimo in sintesi, riassumere il filo conduttore del pensiero di Juric?
«Credo sia quello di puntare su giocatori, soprattutto giovani, che abbiano voglia e desiderio di imporsi nel calcio professionistico. Questo rappresenta per questi ragazzi la molla sulla quale puntare per scatenare in loro la voglia di arrivare. Oltre a questi si punta anche su giocatori, invece magari già esperti che cercano però l’occasione di un loro riscatto. Per entrambi, quindi, il desiderio di arrivare e la fame di riscatto, rappresentano la motivazione che alimenta il sogno e la sua realizzazione. E tutto questo, come dicevamo, arriva attraverso l’empatia. Adesso, inoltre, il club dispone finalmente di diversi giocatori di proprietà, segno dell’ottimo lavoro sin qui svolto dalla società. Questo rappresenta ora una base estremamente solida sulla quale poter costruire il futuro e Juric può diventare l’uomo giusto al posto giusto.»
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