-Di Andrea Ceccotti–
La pallacanestro e lo sport italiano piangono Gianfranco Lombardi venuto a mancare il 22 gennaio dopo una lunga malattia. Per i vecchi tifosi e per tutti era da sempre e solo “DADO”.
Si era isolato, malato, nella sua abitazione in provincia di Varese. Sparito nel nulla dopo aver capito che la malattia che lo aveva colpito gli avrebbe riservato la compassione e la tenerezza da parte di coloro che gli avevano voluto bene e che inutilmente hanno cercato, negli anni, di riavvicinarlo.
Alla fine tutti hanno rispettato la sua uscita di scena.
Era nato a Livorno il 20 marzo 1941 e cominciò a giocare nella locale Pallacanestro Livorno, fu poi grande protagonista a Bologna, prima nella Virtus e poi nella Fortitudo, uno dei primi a passare da una sponda all’altra e chiuse la carriera a Rieti nel 1973.
Grande giocatore anche in maglia azzurra. Alle Olimpiadi del 1960 di Roma vinse il bronzo a soli 19 anni segnando 23 punti contro gli Stati Uniti di Jerry West, Oscar Robertson e Jerry Lucas. Entrò alla fine nel miglior quintetto dei Giochi.
L’NBA lo chiamò per un provino con i leggendari New York Knicks ma Dado era troppo legato a Bologna e rifiutò.
Fu capocannoniere per 2 stagioni in serie A, nel 1963-64 e nel 1966-67 e poi come allenatore si distinse a Rieti, Trieste, Forlì, Treviso, Reggio Emilia, Rimini, Verona, Siena, Livorno, Cantù, Varese, Napoli.
Nel 2007 venne inserito nell’Italia Basket Hall of Fame.
Prima come giocatore fu un grande attaccante e un micidiale tiratore e poi ottimo tecnico, diabolico soprattutto per le sue difese. Difficile forse da amare ma unico nel tirar fuori da ognuno dei suoi giocatori molto più dell’immaginabile. Unico per il suo vulcanico e variopinto linguaggio. Le sue partite erano vere sfide arricchite dal suo comportamento pittoresco, dalla sua gestualità spesso teatrale, da stregonerie tattiche e scaramantiche. Un vero e proprio istrione del parquet, apparentemente ruvido e scontroso, in realtà tenero e giocoso.
Personalmente a Trieste ho conosciuto Dado molto da vicino. Arrivò nella nostra città ingaggiato quale tecnico dopo il drammatico spareggio che la Pallacanestro Trieste giocò e fortunatamente vinse in quel di Bologna nell’aprile del 1976, garantendosi così una rocambolesca permanenza in serie A2.
Dado Lombardi fu per la Trieste del basket una “leggenda”. Creatore del fenomeno Hurligham, non la squadra più forte della storia del basket nella nostra città ma sicuramente quella che più di tutte ha scosso Trieste facendola innamorare. Lombardi portò la sua Hurlingham in paradiso e cioè in serie A1 nel febbraio del 1980. Il paradiso durò poco ma a Lombardi i miracoli riuscivano bene e nella Pasqua del 1982 riportò nuovamente in serie A1 Trieste, sponsorizzata allora Oece.
Trieste tornava tra le grandi con lui, Dado, esultante in mezzo al parquet dello straripante Palazzetto di Chiarbola.
Palazzetto diventato troppo piccolo per la passione dei triestini ad inizio degli anni ’80, visto che centinaia di tifosi restavano fuori ogni domenica. Dado con la sua caparbietà chiese di far abbattere fisicamente una delle mura dell’impianto e riuscì così a farne aumentare considerevolmente la capienza, con la costruzione di un’altra tribuna.
A me personalmente piace ricordarlo per la sua grande passione per il basket, per le sue indimenticabili comparse in televisione e le sue dichiarazioni ai giornali. Perché Dado era di Livorno e da quelle parti mica te le mandano a dire.
Franco Pozzecco, Gino Meneghel e Doriano Jacuzzo, gli allora “vecchi” della squadra, raccontano ancora oggi che dopo i massacranti allenamenti andavano con lui a mangiare la pizza e a giocare a carte. In quelle serate, presenti i giornalisti locali, saliva in cattedra come era solito fare sul parquet, sciorinando sentenze a ruota libera, aneddoti, ricordi, storie fantastiche, spesso inventate, che ripeteva più volte, tanto era divertente ascoltarlo.
Si perché con Dado non potevi stare serio per più di 10 minuti. Solo fuori dal parquet, ovviamente!