-di Angelo Spagnuolo–
Negli ultimi anni si sono susseguite molte inchieste giornalistiche – tra cui un’interessante video intervista di Sergio Rizzo su corriere.it – sullo stato di degrado e totale abbandono in cui versa lo stadio Flaminio di Roma. Un tempio dello sport italiano lasciato in agonia, tradito e abbandonato, profanato dall’incuria e dalla cattiva amministrazione prima ancora che dai vandali che ne distruggono strutture e allestimenti.
C’è di tutto ormai al Flaminio: sugli spalti i resti di seggiolini e tanta ruggine, alberi che crescono indisturbati; il campo è coperto da erbacce e sporcizia, la piscina è in disuso e le palestre di scherma, ginnastica, pugilato, non esistono più. Le infiltrazioni d’acqua tra le lastre di cemento e il degrado del calcestruzzo fanno temere addirittura possibili, anche se non probabili, cedimenti.
E pensare che lo stadio ospitava fino a quasi dieci anni fa (dieci, non cinquanta), le partite del Sei Nazioni di rugby e migliaia di tifosi festanti provenienti da tutta Europa. La Federazione Rugby ancora nel 2011 voleva farne la casa definitiva della nazionale: per aumentarne la capienza da 24 a 40 mila posti e soddisfare così la richiesta crescente di biglietti, presentò un progetto di ampliamento, bocciato dal Comune di Roma per vincoli archeologici. Risultato: la Nazionale si è trasferita all’Olimpico e da allora i cancelli del Flaminio sono tristemente sbarrati.
Bisognerebbe intraprendere una vera e propria lotta contro il tempo per salvare il Flaminio, patrimonio dello sport italiano. Per anni non si è mosso nulla, zero manutenzione, con l’indifferenza a regnare sovrana.
Ma negli ultimi giorni abbiamo letto alcune notizie che alimentano qualche speranza: è stato presentato un piano di conservazione che potrebbe portare a una svolta. Il piano, sovvenzionato dalla Getty Foundation, è stato realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Università Sapienza di Roma insieme all’associazione degli eredi di Pier Luigi Nervi, il progettista dello stadio. Il suo obiettivo è quello di individuare delle linee guida generali da seguire durante i futuri lavori di restauro, sempre se ci saranno. Gli studiosi hanno reso il piano una guida operativa, non un semplice studio accademico, e per farlo hanno analizzato ogni singolo elemento costitutivo dello stadio, realizzando per ognuno specifiche linee guida di intervento. Uno studio prezioso, un lavoro di più di 600 pagine in via di pubblicazione, che fornisce suggerimenti pratici e speriamo non resti lettera morta.
Altra notizia è il possibile abbandono da parte dei nuovi proprietari della Roma, gli americani Dan e Ryan Friedkin, del progetto molto tortuoso e complicato del nuovo stadio a Tor di Valle, con il Flaminio indicato tra i luoghi potenziali dove investire per l’impianto di proprietà giallorosso. Sull’ipotesi si è sviluppato subito un acceso dibattito tra chi si dice favorevole e chi invece rigetta categoricamente l’ipotesi di uno stadio Flaminio come nuova casa della AS Roma. Per qualcuno sarebbe l’occasione di rivitalizzare lo stadio fatiscente e tutta la zona circostante. Per altri il progetto sarebbe irrealizzabile per la ridotta capienza, la scarsezza di parcheggi, la difficile gestione dell’ordine pubblico in un’area molto centrale della città.
Nei giorni scorsi infine è stato presentato agli uffici di Roma Capitale un progetto da parte della A.S. Nuoto Roma che vorrebbe riqualificare lo Stadio Flaminio insieme a un gruppo di privati. Al centro del piano la salvaguardia sia della struttura originaria, sia della vocazione fortemente sportiva dell’impianto. Il progetto prevede infatti la pratica di differenti discipline sportive come calcio, scherma, nuoto, danza, ginnastica.
Impianto polifunzionale, il Flaminio è nato nel 1959 sulle ceneri del vecchio “Stadio Nazionale”, poi ribattezzato “Torino” in onore e memoria della grande squadra capitanata da Valentino Mazzola deceduta a Superga. Per comprendere l’importanza che questo stadio ha rivestito per lo sport e la cultura nazionali, basta ripercorrere alcuni dei grandi avvenimenti che vi si sono svolti.
11 settembre 1960: Roma ospita le XVII Olimpiadi, che passeranno alla storia per l’ottima organizzazione e alcune grandi innovazioni, come la maratona corsa in notturna tra le meraviglie del centro storico. È l’Italia del boom economico, è la Roma della dolce vita, capitale mondiale del cinema, quando Bollywood ancora non esisteva. Al Flaminio, costruito per la manifestazione, si giocano le partite di calcio ed in particolare la finale per il terzo e quarto posto. L’Ungheria batte l’Italia per 2-1, sul prato si esibiscono giovani talenti come Giacomo Bulgarelli, Giovanni Trapattoni, il Golden Boy Gianni Rivera.
15 giugno 1987: il Flaminio negli anni ’80 – ’90 non è solo sport ma anche un grande tempio della musica leggera. Vi si esibisce, per la prima volta in Italia, il compianto David Bowie con il suo Glass Spider Tour, calandosi dalla pancia di un gigantesco ragno con un invisibile filo d’acciaio, con alcune ballerine della scuola di Lindsay Kemp a dipingere sotto di lui una fantastica scenografia. In quello stadio si esibiscono anche gli U2, i Duran Duran, Prince, Michael Jackson, i Rolling Stones. Un’epopea che si conclude a causa della crociata anti – decibel di pochi residenti, che spegne definitivamente luci e suoni.
19 novembre 1989:lo Stadio Olimpico è inagibile per i lavori di ristrutturazione eseguiti in vista dei Mondali 1990. Il derby Roma – Lazio si gioca al Flaminio e finisce 1-1 con reti di Bertoni e del “Principe” Giannini. La Roma schiera Voeller e Rizzitelli, la Lazio Gregucci, Ruben Sosa e Paolo Di Canio. La vigilia della partita è caratterizzata da grandi preoccupazioni per l’ordine pubblico da gestire in un impianto dalla capienza limitata. Ma il Flaminio supera anche quell’esame: nessun problema, nessun incidente, tutto fila liscio.
12 marzo 2011: si gioca Italia – Francia di rugby, partita divenuta leggenda. Quattordici anni dopo il successo di Grenoble che di lì a breve avrebbe spalancato agli azzurri le porte del Sei Nazioni, il XV di Nick Mallett ripete l’impresa e batte la Francia al Flaminio 22-21, rimontando dal 6-18. Un’impresa storica, l’ultima prima del trasferimento delle partite all’Olimpico.
La soluzione del “problema” Flaminio, struttura gestita fino al 2011 dal CONI, non è certo facile ma va trovata. Il Comune di Roma, proprietario dell’impianto, dopo anni di inerzia, sembra aver di nuovo posto il dossier al centro della sua attenzione. Diventi o meno nuovo stadio della Roma o sia funzionale a qualche altro bel progetto, poco importa. Il Flaminio deve tornare ai fasti di un tempo recente. Sicuramente la città ha altri grandi problemi da affrontare: mezzi pubblici vetusti, il degrado diffuso delle periferie, la sfida di restare al passo delle altre grandi città europee. Ma è indecente e fa male al cuore vedere abbandonato così un suo gioiello, un luogo ricco di storia, di passione, di tante vicende umane e sportive. E la civiltà di un popolo, ne siamo convinti, si vede anche dal modo con cui riesce a rispettare, preservare e proteggere i suoi centri di aggregazione, le sue strutture sportive, la sua storia.
Mentre in tutta Italia si progettano faraonici impianti lontanissimi dai centri, mal collegati, destinati a diventare cattedrali del deserto, non si può far marcire uno stadio a due passi da Piazza del Popolo, facilmente raggiungibile dalla stazione Termini con la metro rossa, sotto ai Parioli, accanto ad un altro gioiello, l’Auditorium di Renzo Piano. Uno stadio meraviglioso, con le tribune attaccate al campo, in cui le partite, siano di calcio o di rugby, si vedono benissimo e si godono. Il Flaminio va salvato prima che sia troppo tardi: se lo merita per le emozioni che ha regalato ad intere generazioni di italiani.
Questo articolo di Angelo Spagnuolo, rielaborato per Panathlon Planet, è tratto dal blog di Overtime Festival, la Rassegna Nazionale del Racconto, dell’Etica e del Giornalismo Sportivo, che si svolge da dieci anni a Macerata nel mese di ottobre (https://overtimefestival.it/blog-overtime/)
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