“TERZO TEMPO“
Di Paolo Avezzù
Questa volta non vi voglio tediare con i freddi risultati di un campionato di rugby Top10, dove fanno più notizia le partite rinviate che non quelle giocate. E dove perfino la Coppa Italia è stata annullata per fare posto ai tanti recuperi di match rinviati per Covid.
Stavolta lascio spazio ad una storia, anzi ad una leggenda, quella di Mario Battaglini, detto “Maci” , scomparso 50 anni fa il primo gennaio 1971 alle 6.45 all’Ospedale di Padova. Era stato un pioniere del rugby rodigino e poi nazionale ed uno dei più grandi interpreti del rugby italiano del dopoguerra. “Maci” era stato vittima qualche settimana prima di una banale caduta dalla bicicletta, suo storico mezzo di trasporto, subendo un trauma che l’avrebbe portato al coma e quindi alla tragica fine.
Ma perché, innanzitutto “Maci”: come ricorda Marco Pastonesi, nel suo bellissimo libro (che invito tutti a leggere!!) “La leggenda di Maci” (Gazzetta dello Sport-Rcs 2002), la madre Edmea Sturaro, detta Carolina, moglie di Antonio Battaglini, vede a pochi mesi di vita il figlio Mario, già grande e grosso per la sua età ed esclama: “El pare un Macistin!”. E da qui il soprannome di Maci, nato a Rovigo il 20 ottobre 1919, che avrebbe raggiunto un’altezza di un metro e 85 (che a quei tempi valeva due metri!) e un carico salito progressivamente a 135 kg.
5 scudetti (2 a Milano e 3 a Rovigo), 5 presenze in nazionale, 7 campionati, 90 partite e 480 punti segnati con il Rovigo. Poi Battaglini continua, dopo l’ultima stagione da giocatore-allenatore nel 1955/56 in rossoblù a Rovigo, come allenatore e vince altri tre scudetti con le Fiamme Oro Padova. Uno dei primi giocatori italiani a finire a giocare all’estero, in Francia, dove dal 1947 al 1950 gioca al Vienne ed al Tolone. I giornali francesi parlano di lui come “Le grand Battà”. Ma poi ritorna a Rovigo, dove ha il suo cuore.
A Rovigo Maci ha rappresentato l’icona di una “città in mischia”, non per niente gli ha intitolato la Stadio di Rugby, che si chiama Stadio Mario Battaglini, e nella Tribuna Ovest, sul lato destro, campeggia un faccione di Maci, mentre sulla sinistra c’è quella di un altro mito del rugby rodigino ed italiano (di cui parleremo un’altra volta) Isidoro “Doro” Quaglio.
E da ultimo una nota di colore: Maci, dopo la esperienza da giocatore e quella di allenatore (ultima partita nel 1969 tra Rovigo e Clermond-Ferrand) aveva iniziato il lavoro come bidello ad una Scuole elementare di Rovigo. Allora non esistevano stipendi da favola, come oggi, e l’unico benefit per i giocatori di rugby era quello di trovargli, a fine carriera, un posto fisso, o nel pubblico, o nelle banche, come avvenne per molti atleti negli anni 80. Molti di noi, cinquantenni o sessantenni come me, si ricordano di quel bidello, grande e grosso, che tutti i bambini chiamavano il “gigante buono”.
Grazie Maci e buona vita lassù…, dove sicuramente starai giocando in una grande squadra!