-di Giorgio Ambrogi–
“Testimonianze Covid dal mondo” questo il titolo dell’incontro online organizzato lunedì 23 novembre scorso in collaborazione tra il Panathlon Club Milano e il Rotary Aquileia di Milano. A fare da padroni di casa i due presidenti, il panathleta Filippo Grassia e il rotariano Filippo Gattuso. A dare una visione globale della situazione attuale 5 ospiti collegati da differenti continenti. Giulia Crapelli, medico anestesista a Londra, Marilena Antonini, preside di scuola a Toronto e Niagara, Massimo Morales, allenatore di calcio a Monaco, Marco Patavino, vicedirettore de Il Globo di Melbourne, e Marcello Lippi, CT della nazionale campione del Mondo nel 2006, in collegamento dalla Repubblica Dominicana.
Ed è stato proprio con il Mister che è iniziato il giro del mondo. A partire dalla Cina, dove Lippi ha lavorato per 8 anni e dove ha ancora interessi. Lì, ha spiegato l’ospite, la situazione è decisamente migliore rispetto ai mesi passati. Dopo la prima ondata e il ferreo lockdown, le autorità hanno riaperto le attività e la vita è ripresa. Il rientro di alcuni cinesi dall’estero e il conseguente ritorno di alcuni contagi ha spinto il governo cinese a un nuovo giro di vite. “Al momento – ha spiegato Lippi – le cose vanno meglio, ma continua a essere difficoltoso entrare in Cina e ottenere il visto. Decisamente migliore, invece, la situazione nella Repubblica Dominicana dove sembra che il virus non sia stato così devastante come in Europa e nel resto del Mondo”. Impossibile, con un ospite del genere, non parlare di calcio sia in chiave Covid sia in chiave puramente sportiva. Due cose che, purtroppo, sono strettamente legate tra di loro e che hanno dato vita a campionati che l’ex tecnico di Juventus e Inter ha definito “anomali”. Nonostante ciò, ha sottolineato, il calcio è stato di grande importanza perché “ha fatto compagnia alla gente chiusa in casa. Siamo stati senza un paio di mesi e tutti avevano voglia di vedere le partite in TV”. Sullo svolgimento dei tornei, poi, l’opinione è chiara. “Io ero contrario ai playoff e ai playout. Per me i campionati dovevano finire in maniera regolare e così è stato fatto. Anche questo campionato, però, è partito in maniera anomala perché non c’è stato recupero da parte dei giocatori. Alcune squadre sono state impegnate nella fase finale delle Coppe e hanno fatto una settimana di vacanza. Hanno avuto pochissimi giorni per fare la preparazione e iniziare il campionato”. Dopo aver sottolineato l’equilibrio che la situazione sta portando alla Serie A, non sono mancati i complimenti di Lippi all’attuale CT, Roberto Mancini. “È stato molto bravo a creare un gruppo di 30 giocatori di grande livello che giocano bene. L’Italia, in questo momento, è la squadra che gioca il miglior calcio in Europa come nazionale. Quasi sono titolari nelle loro squadre ed è difficilissimo fare una selezione. Quando allenavo io la nazionale potevo scegliere sul 65% dei calciatori italiani e il restante straniero, adesso la situazione si è capovolta”.
Dalla Repubblica Dominicana al Regno Unito, la situazione cambia in maniera decisa e lo ha spiegato bene Giulia Crapelli che è impegnata come medico anestesista a Londra. “Le criticità che abbiamo dovuto affrontare dal punto di vista clinico sono state notevoli perché ci troviamo di fronte a un virus sconosciuto. Non sapevamo cosa aspettarci se non quello che ci arrivava dai medici cinesi e, soprattutto, da quelli italiani”. Una delle maggiori difficoltà, ha spiegato la dottoressa Crapelli, è quella di trovarsi di fronte a pazienti che presentano una grande eterogeneità di problematiche nel quadro clinico e non solo quelle polmonari. “Inoltre, da un momento all’altro l’ospedale, che in genere è specialistico cardio-toracico, è stato rivoluzionato ed è diventato un ospedale Covid”. Nel Regno Unito il percorso terapeutico è ben delineato con i malati che, fino a quando i sintomi sono non gravi, rimangono a casa prendendo del paracetamolo e che vengono ricoverati solo quando la situazione richiede una terapia sub intensiva o intensiva. È a questo punto che “si applica un protocollo di eparina con un dosaggio di profilassi che aumenta fino a quando si arriva a una terapia anticoagulante nel momento in cui il paziente presenta il rischio trombosi”. Un rischio di cui nei primi tempi, “quando ancora si vedeva il Covid come una cosa lontana, arrivava solo tramite i racconti dei colleghi milanesi. Per questo, nel corso della prima settimana da Covid center abbiamo dovuto lottare con i nostri colleghi inglesi perché non era ancora dimostrata l’efficacia della terapia”. Ora, a Londra la gente, rispetto alla prima ondata, è stanca, ma è più spaventata dalla situazione economica che da quella sanitaria perché, pur nelle difficoltà, ha visto che il sistema sta funzionando. Le terapie intensive, a oggi, non sono piene e si aspetta con fiducia il vaccino”. Per i medici, al di là dell’emergenza medica e della fatica fisica, quello che è stato più duro da sopportare è il peso psicologico. “Avevamo a che fare tutti i giorni con la morte. Dovevamo chiamare famiglie che, magari si trovavano anche lontane centinaia di chilometri, per informarle che i loro parenti erano morti”. La dottoressa Crapelli ha sottolineato, infine, lo strazio “delle videochiamate tra i pazienti e i loro cari senza che questi potessero entrare in ospedale per dare loro anche solo un ultimo abbraccio”.
La situazione del Canada e, in particolare, della scuola è stata spiegata da Marilena Antonini da Toronto che ha iniziato con lo spiegare come la gente ha affrontato questa pandemia. “All’inizio molte persone hanno affrontato la situazione tappandosi in casa al 100%, mentre altri non hanno cambiato abitudini nonostante il lockdown da marzo a giugno”. Ora, però, le cose stanno cambiando e lo stato del Nord America deve tornare a chiudersi perché, diversamente, “se non ci saranno provvedimenti seri potremo arrivare fino a 60.000 casi al giorno”. Tutto chiuso con l’eccezione delle scuole per cui il governo ha offerto alle famiglie la possibilità di scegliere la frequenza in presenza o la DAD fin dall’asilo. Un problema, secondo la Antonini, “perché in questo periodo nelle scuole ci sono ogni giorno dai 20 ai 30 casi in più. Le istituzioni non parlano dei contagi che vanno dalla scuola verso la comunità, bensì solo di quelli che fanno il percorso inverso. La scorsa settimana c’è stato il primo decesso di un’assistente scolastica di 67 anni che è stata contagiata da una collega più giovane”. In un paese che, su una popolazione di circa 37 milioni di persone, ha registrato 315.000 casi e 11.000 morti è necessario “bilanciare attentamente i pericoli che tutti coloro che sono nel mondo scuola corrono. E va trovato un giusto equilibrio. Non andare a scuola per un anno potrebbe creare problemi psicologici, è vero, ma non occorre aprire a tutti i costi”. Mentre a molti che fanno lavoro di ufficio già ad aprile è stato detto che faranno smartworking fino alla fine di gennaio, per chi è rimasto senza lavoro il governo ha messo in atto molte misure di sostegno e per il mondo del commercio ha garantito “che pagherà il 90% degli affitti degli esercizi commerciali”. In chiusura di intervento, Marilena Antonini ha anche sottolineato un’altra scelta che ha definito contraddittoria raccontando che “non si può andare negli Stati Uniti usando la macchina, ma che si può viaggiare in aereo per andare in altri paesi”.
Da Monaco di Baviera, invece, ha testimoniato la propria esperienza diretta Massimo Morales, assistente di Trapattoni quando questi era sulla panchina del Bayern di Monaco. “Io ho contratto il virus e ho trascorso le canoniche due settimane in quarantena. La prima è stata brutta con febbre mediamente forte e perdita di gusto e olfatto. La cosa peggiore, però, sono state le fitte che mi hanno preso alla testa e in tutto il corpo. Nella seconda settimana i sintomi sono spariti, ma la cosa peggiore è stato l’aspetto psicologico perché si vive sempre nella paura che emergano sintomi più gravi. Io avevo una bombola di ossigeno e un misuratore di saturazione, ma la paura è costante”. Anche in Germania l’approccio è fatto per gradi perché inizialmente la malattia “si tratta come un’influenza prendendo aspirine e paracetamolo. Da casa si rimane in contatto con un operatore dell’ufficio della salute a cui ci si rivolge in caso la situazione peggiori. A quel punto arriva un’ambulanza con i medici che si prendono cura del malato e, nel caso, lo portano in ospedale dove, se serve, viene posto in terapia intensiva”. In Germania c’è lockdown completo anche se, rispetto all’Italia, dove “ascoltando i telegiornali si ha l’impressione di essere in mezzo a una catastrofe incredibile, qui si percepisce di essere di fronte a una pandemia da prendere seriamente con determinate precauzioni”. Le differenze delle misure di restrizione tra i due paesi derivano anche dal fatto che, “a livello costituzionale in Germani è impossibile impedire alla gente di andare a fare una corsa o una passeggiata. Per questo, si è sempre cercato di affidarsi al buon senso dei cittadini”. Al momento la situazione sta migliorando e, spiega Morales, “la popolazione aspetta il vaccino per cui si parla di un arrivo addirittura alla fine di dicembre, inizio gennaio”.
In piena mattinata australiana, da Melbourne, è stato Marco Patavino, vicedirettore de Il Globo a chiudere l’incontro spiegando come si sia arrivati, da marzo a oggi, a pensare di aver cancellato il virus dalla vita dei cittadini. “Alla fine del mese di marzo il governo federale ha chiuso tutti i confini e questo ha funzionato. Chiunque, la cosa è valida ancora oggi, arrivi nel paese deve sottoporsi a quarantena obbligatoria di 14 giorni da effettuare in alcuni alberghi organizzati dai vari stati e gestiti da strutture di sicurezza. Questo sistema a giugno ha avuto una falla a Melbourne e da qui è esplosa quella che si può definire la vera prima ondata. Ma ha riguardato quasi esclusivamente lo stato del Victoria e la sua capitale che è stata per più di 100 giorni sottoposta a un lockdown ferreo. Tanto efficace che alcuni scienziati cominciano a parlare di eliminazione del virus dato che siamo al 28esimo giorno a zero casi nel Victoria mentre sono circa 90, tutti confinati negli alberghi, nel resto dell’Australia”. Sicuramente, il fatto che dall’altra parte del mondo ci si stia avvicinando all’estate può aiutare a migliorare la situazione a velocizzare nella riapertura dei confini tra i vari stati. “Da ieri si è riaperta la frontiera tra il New South Wales e il Victoria e, di conseguenza, Sidney e Melbourne sono tornate finalmente a poter comunicare tra di loro”. Grazie a queste notizie “ci si sta preparando per un Natale il più possibile normale. Al netto di quanto successo qui, negli altri stati da tempo la situazione è assolutamente buona con restrizioni quasi inesistenti. Non è più obbligatoria la mascherina all’aperto, lo è solo al chiuso e sui mezzi pubblici”. In Australia, dove da inizio pandemia si sono contati poco più di 27.000 casi e 907 morti, la vita sta veramente tornando verso la normalità. Tanto, che fuori dallo stato del Victoria le “persone possono assistere alle manifestazioni sportive. La finale dell’Australian Football League, che in genere si tiene a Melbourne, si è giocata, infatti, a Brisbane con la presenza di circa 30.000 spettatori”. Ora, si comincia a ragionare su come mettere in scena altri grandi eventi sportivi in programma a Melbourne. “Gli Australian Open – ha spiegato Patavino – inizialmente erano in programma per gennaio, ma sarebbe stato necessario far arrivare tutti gli atleti e gli staff (circa un migliaio di persone N.d.R.) già a dicembre in modo da poter fare la quarantena negli alberghi designati per poi, al termine dei 14 giorni, cominciare ad allenarsi”. Una cosa impossibile da attuare per i tennisti che hanno una stagione intensa e che va programmata nei singoli dettagli. Per questo “attualmente, sembra che ci sia la possibilità di spostarli a febbraio o a inizio marzo. Per di più, l’idea è di poterlo fare con un numero contingentato di spettatori sugli spalti. Proprio come al GP di Formula 1 che la FIA ha già messo in calendario”.