–Who is who Davide Caldelli-
Per Davide Caldelli è un ritorno in famiglia, avendo già collaborato con Panathlon Planet. Davide è un altro prodotto, mi scuserà se così scherzosamente lo definisco, della nidiata di giornalisti usciti dall’insegnamento di Adalberto Scemma, quelli che essendo soci del Panathlon Gianni Brera Università di Verona costituiscono una redazione nella nostra redazione, che così sinteticamente si racconta:” Sono un amante dello sport, soprattutto quello di base. Ho allenato oltre 30 anni, oltre la metà dei quali come istruttore minibasket. Tifosissimo dei Boston Celtics, e del mio mito, la magia bianca “Larry Bird”. Mi piace scrivere di sport, soprattutto per disabili. Credo, e ne sono pienamente convinto, che tutti abbiano diritto a fare sport. Mi piace tanto la montagna quanto il mare e adoro la cucina italiana, quella toscana in particolare viste le mie origini senesi. Massimo Rosa/Direttore
Francesca Porcellato, forse, ai più, potrebbe non dire nulla, ma chi l’ha conosce è conscio della forza di volontà che ha dentro di sé. È una sportiva eccezionale che da sempre dimostra sul campo le sue doti atletiche e umane.
Nata a Riese Pio X, si è trasferita (per amore ndr) in quel di Valeggio sul Mincio dove vive ancora oggi insieme al suo allenatore e coniuge Dino Farinazzo.
Il sottoscritto ormai la conosce da molti anni, da quel 21 marzo 2010, il giorno in cui vinse l’oro olimpico alle Giochi Paralimpici di Vancouver. Ma la sua è una storia che parte da lontano e oggi vorrei raccontarla insieme a lei, la mia ospite: Francesca Porcellato, per tutti noi “La Rossa Volante” (per quella fluente chioma rosso arancio e il brivido della velocità che lei ama tanto).
Ma chi è Francesca?
Quando ha inizio la tua avventura sportiva?
<<La mia carriera inizia davvero molti anni fa, nel 1987, anche se fin da bambina avevo sempre voluto essere un’atleta. Il mio sogno era praticare l’atletica leggera per correre veloce>>.
Qual è il tuo ricordo di quei primi momenti di atleta?
<<Ad essere sincera, a quel tempo ancora non si parlava di sport paralimpico, era quasi un tabù. Al massimo si definiva sport per disabili. Non sapevo dove poter trovare una società con la quale potermi aggregare e quindi iniziai ad allenarmi da sola>>.
Com’è cominciata la tua carriera di atleta?
<<Tutto iniziò proprio nel 1987. Conobbi alcuni ragazzi che praticavano atletica all’Aspea Padova. Una società non distante da casa mia, ma difficile da raggiungere perché non c’erano i mezzi per arrivare a Padova. E proprio da qui è incominciata la mia carriera>>.
Quali erano le tue gare?
<<Iniziai con i 100 metri e, poi, un po’ alla volta allungavo correndo i 200, i 400 ed infine gli 800. Nel 1988 partecipai ai miei primi Giochi Paralimpici di Seul nel 1988 dove vinsi 2 ori, 1 argento e 2 bronzi. Ma qualcosa stava accadendo. Poco pima dei Giochi di Barcellona 1992, anzi, forse anche un po’ prima, mi era venuta l’idea di provare a correre la maratona>>.
Ci racconti dell’episodio che ti ha visto protagonista insieme a Gelindo Bordin?
<<Ai giochi di Seul parlavo spesso con Gelindo Bordin e gli dissi che avevo intenzione di provare a correre la maratona. Ma lui mi disse “Stai calma, corri i 100 metri e vinci la medaglia, la tua è come la mia, ma fatichi molto meno perché in pochi secondi è tutto finito; mentre io devo lavorare molte ore per arrivare alla stessa tua medaglia”. Io, però, lo guardavo e, tra me e me dicevo.. questo non capisce nulla, non sa che io la voglio fare la maratona>>.
Come arrivasti allora a correre la maratona?
<<Io a quel tempo ero fidanzata con l’allenatore della nazionale di atletica leggera e anche con lui mi ero confidata circa il mio desiderio di correre la maratona. Eravamo alla vigilia di Barcellona 1992 e poiché insistevo con questo mio desiderio mi disse che se fossi salita sul podio avrei potuto correrne una. È stata sicuramente la svolta della mia carriera. Era il 5 settembre del 1992, il giorno del mio compleanno, feci la gara della vita arrivando terza nel 400 metri (gara che personalmente non amavo molto), feci il mio personale, ma soprattutto avevo vinto la sfida con il mio allenatore e potevo finalmente a correre la mia prima maratona>>.
Le maratone: le gare che hai amato profondamente, ci vuoi spiegare il perché?
<<La prima soddisfazione arrivò alla maratona di Firenze dove stabilii il nuovo record italiano. Da li in poi corsi circa cento maratone vincendo New York, Londra, Parigi, Boston e Roma. L’apoteosi, però, fu nel 2005 quando a Padova realizzai il nuovo record del mondo sulla distanza. È stato un pezzo importante della mia vita e sicuramente la gara che più mi è rimasta nel cuore. Dopo Barcellona si sono susseguite tante altre edizioni dei Giochi, da Atlanta a Sidney, da Atene a Pechino, andando sul podio sia a Sidney che ad Atene>>.
Sei certamente un’atleta poliedrica che nel corso della sua carriera ha stabilito tanti record, ma soprattutto ti sei reinventata molte volte. Ma come è nata la passione dello sci da fondo, ben sapendo che tu non ami molto il freddo?
<<Tutto accadde all’arrivo di una maratona a Padova dove incontrati il tecnico della nazionale di sci di fondo. In quel periodo stavano organizzando la squadra per le discipline dello sci nordico in vista dei Giochi di Torino 2006. Mi disse che era da molto tempo che lui mi seguiva, mi disse che la mia tecnica di allenamento ben si poteva sposare con quella dello sci di fondo. La mia prima risposta, però, fu negativa perché non amavo la neve. Dopo Atene, nel 2004, però, mi venne di nuovo a trovare e alla fine mi convinse a provare. Io stessa non avevo fatto i conti con la mia voglia di andare veloce e quindi, dopo essere salita sullo slittino, non ne scesi più>>.
Quanto è stato profondo il legame con una disciplina così distante dall’atletica leggera?
<<Debbo dire che nonostante la mia prima incertezza se non addirittura diffidenza, mi innamorai dello sci di fondo. Iniziai a studiare i materiali, a capire come dovevo allenarmi. È stato sicuramente un periodo caratterizzato da un forte dispendio di energia ma anche economico. Iniziai ad allenarmi nell’inverno 2005. All’inizio feci molta fatica, tuttavia nel gennaio del 2006, in una gara di qualificazione a Lillehammer riuscii a fare il tempo minimo necessario per qualificarmi per Torino 2006. Non fu un’edizione esaltante, giunsi purtroppo tra gli ultimi. Ma fu indispensabile per i Giochi di Vancouver del 2010. Iniziai a lavorare duramente, ad allenarmi con costanza per arrivare al traguardo sognato. Fu il viatico per i Giochi invernali di Vancouver 2010 dove vinsi l’oro nella gara del sprint, il 21 marzo, il giorno del mio secondo compleanno, la data del mio incidente a 18 mesi>>.
Tifosi particolari gli italiani, i tuoi amici, vero?
<<Hai ragione. Molti amici si organizzarono per vedermi ma non tutti avevano l’abbonamento a Sky, la rete che trasmetteva in diretta la gara. Erano davvero arrabbiati perché non riuscirono a vedermi. Fui tuttavia molto felice perché almeno i miei genitori riuscirono, per la prima volta, a vedermi in diretta vincere una gara, e non una qualsiasi, bensì l’oro olimpico>>.
Dopo Vancouver, ma soprattutto dopo Londra 2012. Il tuo rapporto con le discipline, fino ad allora, da te praticate cambia profondamente. Cosa accadde in quel periodo?
<<Capii, dopo Vancouver e poi alla vigilia di Londra 2012, che il doppio impegno atletica leggera – sci di fondo, iniziava a pesarmi. Ero sempre in giro per il mondo, non mi fermavo mai tra allenamenti e gare internazionali. Questo mi fece capire che qualcosa doveva cambiare e così, dopo i giochi inglesi, decisi di abbandonare l’atletica leggera, che già mi aveva dato molte soddisfazioni in passato. Continuai, perciò, con lo sci di fondo sino a Sochi 2014>>.
Come nasce la tua passione per l’Handbike?
<<Nell’istante in cui abbandonai l’atletica, lasciai definitivamente anche la carrozzina olimpica che per moto tempo mi aveva accompagnato in tutte le mie gare olimpiche. Dovevo trovare un altro sport per tenermi in allenamento, per questo decisi di provare proprio con l’handbike. Questo nuovo mezzo mi permetteva di prepararmi con minore difficoltà perché la posizione era più agevole, anche se a me, all’inizio, non piaceva molto. Mi fu praticamente imposto dal mio allenatore (Dino Farinazzo ndr) perché mi permetteva di fare un gran lavoro di aerobia durante l’estate. La mia paura era dovuta proprio alla posizione, all’altezza delle ruote delle auto e con una visuale molto ridotta; diciamo che non mi sentivo molto sicura. Ho dovuto fare un notevole lavoro su me stessa, sul tipo di allenamento da seguire, però, dopo un primo istante di iniziale titubanza, iniziai ad apprezzarla. Una nuova avventura stava iniziando>>.
Sci di fondo e handbike: come continuarono gli allenamenti?
<<In quel periodo iniziai due percorsi differenti di allenamento, Dino (Farinazzo) mi allenava a secco mentre Alessandro Gamper, il tecnico della nazionale di sci di fondo, sulla neve. Alessandro iniziò a collaborare con Dino preparandomi dei test per analizzare la mia condizione atletica durante le gare di Handbike. Fu quello il periodo nel quale incontrai Mario Valentini, il tecnico della nazionale di Handbike che da buon romano mi diceva sempre “A Francé, quand’è che vieni a corre con noi?”>>.
Quale la svolta che ti porta a scegliere l’Handbike?
<<Nel 2012, anno Olimpico, andai a fare i campionati italiani di Handbike e arrivai seconda. Qualcosa non era andato per il verso giusto, e quando le cose non vanno come dico io divento un Kamikaze. Decisi, allora, di ripresentarmi l’anno successivo con l’intento di non commettere gli stessi errori. Iniziai un duro e lungo periodo di allenamento che coronai con il mio primo titolo italiano in questa che per me era una nuova avventura. Il ct della nazionale, visti i miei progressi, mi convocò subito in nazionale. Rinunciai, tuttavia, ai Mondiali perché dovevo prepararmi in vista di Sochi 2014 ma lui, testardo più di me, mi disse che non voleva mollarmi e che in futuro avrebbe voluto che pensassi seriamente alla nazionale di Handbike>>.
Si riparte da zero. Quali furono i tuoi primi passi nella nazionale di Handbike?
<<Non volevo lasciare lo sci di fondo, ma nemmeno volevo abbandonare le rotelle per cui decisi di provare, in modo più deciso, questa nuova avventura. Preparammo delle tabelle di allenamento, indirizzate all’Handbike e non finalizzate allo sci di fondo come in precedenza. Iniziai a lavorare con maggiore intensità perché volevo raggiungere nuovi e più alti traguardi. Cambiai nuovamente l’attrezzatura. Iniziai a testarmi su diverse gare per capire se fossi in grado di arrivare ai risultati che mi ero prefissa. Dalla prima all’ultima gara arrivai quasi sempre prima o seconda e capii che quella poteva, in effetti, essere una mia terza giovinezza (dopo atletica e sci di fondo ndr)>>.
E i successi non tardarono ad arrivare vero?
<<Questa scelta, davvero entusiasmante, è stata coronata da tanti successi in campo nazionale ed internazionale, a partire dai primi titoli mondiali della mia carriera (due per l’esattezza). In quel momento nacque il sogno di Rio 2016. Un’edizione, tuttavia, per me iniziata con molta difficoltà, visto che prima dei Giochi ebbi un infortunio per il quale persi l’uso del braccio destro per molto tempo e questo mi costò parecchio in termini di allenamento e rieducazione funzionale per cercare di arrivare in forma in vista dei Giochi Paralimpici. Nonostante tutto arrivarono due bronzi pesantissimi e forse insperati dopo quello che avevo passato mesi prima. Dopo allora sono arrivati altri quattro titoli mondiali, numerose vittorie in coppa del mondo e il sogno di fare Tokyo 2020, ora diventato 2020 più uno>>.
Due bronzi che potremmo considerare due ori?
<<Diciamo che c’è una differenza nel suddividere gli atleti in base alla loro disabilità ai mondiali piuttosto che ai Giochi Paralimpici. In effetti i Campionati del Mondo mantengono le categorie funzionali, ovvero i partecipanti gareggiano con atleti che hanno la medesima categoria di disabilità. Ai Giochi questo, purtroppo, non succede perché gli organizzatori mettono un numero limite di gare e, ovviamente, di “Medal Events”. Questo produce una compressione del numero delle categorie, specie nel paraciclismo. Devi pensare che la mia categoria è la più numerosa per numero di partecipanti>>.
La disabilità vista dal punto di vista di Francesca è certamente un’opportunità. Ma i problemi che la gente disabile comune deve affrontare tutti i giorni sono davvero molti. Per questo è necessario far chiarezza sulle problematiche che esistono nel nostro paese, sui ritardi cronici in fatto di accessibilità e diffusione di una cultura inclusiva che, purtroppo, molte volte non lo è.
Secondo te quali sono i problemi più evidenti nel nostro paese che un disabile deve quotidianamente affrontare?
<<Devo essere sincera perché qui si apre una tematica che mi sta molto a cuore, un tema molto caldo, scottante. Innanzitutto debbo dire che in Italia abbiamo una realtà molto frammentata. Ogni regione potremmo dire va un po’ per conto suo. Ma molte sono anche le differenze che esistono anche tra nord, sud e centro. Nel sud, purtroppo, ci sono ancora oggi molte barriere architettoniche rispetto al nord del paese. Diciamo che nel nord Italia c’è una maggiore attenzione e cura verso chi è disabile e lo si vede, in modo pratico, ad esempio, negli autogrill sparsi lungo tutta la rete autostradale del nostro paese. Scendendo verso il sud, ci sono sì i bagni accessibili, ma c’è comunque una minore attenzione verso le persone disabili. Non è che siamo da primati, siamo ancora molto indietro per cui il lavoro da fare è ancora molto>>.
Qual è stato il ruolo dello sport paralimpico in questa lotta contro le barriere architettoniche?
<<Siamo sicuramente migliorati e lo sport, in questo senso, ha dato una grande contributo. Ha dato molta visibilità al mondo della disabilità, portando a galla tanti problemi e tanti, devo essere sincera, sono stati risolti. Molte palestre si sono attrezzate per persone con disabilità, e anche molte strutture sportive sono diventate più accessibili. Questo ha riguardato anche la società civile, si sono adeguati palazzi, gli uffici pubblici hanno iniziato a realizzare percorsi di accesso per disabili. È innegabile che molto lavoro si debba ancora fare, ma la strada che si è iniziato a percorrere è quella giusta>>.
Ma non è ancora abbastanza vero?
<<Ci sono ancora molte questioni irrisolte come quella degli ausili per le persone disabili. Si tratta di attrezzattura di varia natura e tipologia che sono di vitale importanza nella vita quotidiana delle persone disabili. Sono necessari perché migliorano la qualità della vita. Qui a latitare è lo Stato, perché si tratta di presidi medici molto costosi e non sempre le persone sono in grado di affrontare queste spese. I tagli che da sempre si operano in nome del bilancio vanno, infatti, a penalizzare persone che vivono la difficoltà della loro malattia ogni giorno della loro vita. Serve maggiore attenzione anche nelle gare di appalto per la fornitura, ad esempio, delle carrozzine. Ogni persona ha le sue esigenze e i suoi problemi fisici in quanto disabile, ed è diversa da un’altra per cui non ci possono essere strumenti standardizzati. A questo, poi, dobbiamo aggiungere il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro. Tutti sono bravi a parole ma poche sono le aziende che davvero sono disposte ad assumere persone disabili, nonostante le leggi in tale senso sono tante e dovrebbero tutelarli. Abbiamo fatto tanto, ma non è ancora abbastanza>>.
Questa è Francesca Porcellato, 100% di pura adrenalina, simpatia e voglia di vivere. È un esempio di positività a 360°, capace di abbattere ogni barriera, sempre sul pezzo, ma soprattutto vera e spontanea. Un messaggio, il suo, di critica e di speranza; della voglia di vivere e di essere esempio per tutti noi. Un grazie, il mio, a lei che mi onora della sua amicizia. Niente con lei è scontato e lei stessa a dimostrarlo ogni giorno di essendo semplicemente sé stessa.
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