“Curiosando qua e là”
-da Linkedin – Data di pubblicazione: 28 ottobre 2020-
Dopo l’incontro virtuale con gli chef e i ristoratori continuo a ripensare a questo periodo lunghissimo, e purtroppo dai contorni sempre più dilatati, incerti, quasi opachi potrei dire, e a come in pochissimo tempo, un fattore imprevedibile abbia non cambiato le regole del gioco, ma le continui a far cambiare. Per tutti, per voi, per me, per noi.
Continuo a leggere lo smarrimento di tutti, la rabbia di alcuni, la volontà di reagire, dei più.
L’Italia è fondata su tanti valori, uno di questi è l’ospitalità. Voi ristoratori date forma, ogni giorno, in ogni piatto pensato, preparato, servito, alle parole “l’ospite è sacro” e credo che questo sia quel valore aggiunto, quell’ingrediente segreto, che fa la differenza tra la ristorazione italiana e quella di altri vostri colleghi in giro per il mondo.
Vorrei provare a focalizzare la vostra attenzione su alcuni fattori: é questione di stile, tradizione, innovazione, per far sì che il vostro servizio resti al passo con i tempi, anche quando i tempi sono quelli che stiamo vivendo.
Due domeniche fa, prima del recente DPCM, leggevo su La Stampa un’intervista a Lino Enrico Stoppani, presidente dalla FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) – Confcommercio, secondo il quale dopo le chiusure dell’inverno e della primavera scorsa, potevano fallire 15mila bar e 40 mila esercizi, tra ristoranti e pizzerie. Una perdita enorme, sia economica di ca 1,3 miliardi al mese che di posti di lavoro a rischio, attorno ai 300 mila, sempre per stare alle stime della FIPE. Ora dopo il DCPM di domenica scorsa le cose non possono che essere peggiorate.
Questo è il terreno di gara.
Ora non me ne vogliate, ma voglio provocarvi:
“venire fuori dalle crisi è una scelta, e non bisogna uscirci a ogni costo, letteralmente, ma non uscirci ha un costo”.
Riflettete su questo passaggio, è una questione di responsabilità.
La situazione non dipende da noi, ma siamo noi i responsabili di come reagiamo.
E voglio partire qui con voi proprio dallo stato mentale, inteso come approccio a ciò che c’è da fare, per raggiungere un obiettivo, sia esso di breve, medio o lungo periodo.
In realtà, forse per le meccaniche dal gioco della pallacanestro, a me piace considerare tutti gli obiettivi, come percorsi caratterizzati da tanti micro-obiettivi di brevissimo periodo.
Per parlare di stato mentale, devo raccontarvi di un avversario, invisibile eppure costante. Lui ci segue e ci marca come un’ombra. Anzi, rispetto all’ombra, è in grado di anticiparci quasi sempre. Fa parte del gioco, del lavoro.
Sto parlando della pressione.
E ce ne è tanta e sempre di più in queste settimane, in questi giorni, in quest’anno discretamente crudele.
Conosciuto l’avversario, lo stato mentale è una conseguenza.
Se c’è pressione ci sono obiettivi e viceversa.
Esistono due tipi di pressione.
Quella buona, perché gioca a tuo favore, come quella del pistone nel motore che produce il movimento.
Quella cattiva, che sembra ostacolarti, come quella che, nel movimento del sottosuolo, rende il terreno instabile.
Che sia buona o cattiva, la pressione porta sempre novità.
E, così, spinge a migliorarci.
La tensione costante al miglioramento è lo stato mentale che rende ogni cosa possibile, perché mette in circolo risorse, creatività, e stimola la disciplina e la responsabilità. Stimola ad essere innovativi, ad usare la fantasia concretamente.
Tocca a noi, come singoli, team, organizzazione, gruppo, guidare i cambiamenti.
Nonostante la giungla normativa, le notizie che guardano la realtà solo nella prospettiva che genera ansia ed asfissia. Nonostante l’umore sia uggioso, arrabbiato come il tempo fuori.
Mi hanno colpito alcune parole pronunciate alcune settimane fa dalla presidente della commissione europea. Ursula von der Leyen ha detto: “make change happen by desing, not by disaster”. Allora, conosciuto ed accettato l’avversario, lo stato mentale non è solo una conseguenza, ma è l’effetto. Naturale e nostro alleato, indissolubile, tanto quanto l’ombra che pressa.
La pandemia ha scoperchiato molte sacche di buonismo e ci ha ricordato, sbattuto in faccia, se mi concedete, un’espressione un po’ forte, che in una società complessa, ogni percorso sia pieno di ostacoli.
Partendo da questa consapevolezza, la programmazione è il primo passo per essere efficaci già dal … primo passo.
E’ la nostra forma di resilienza, se volete innovare un vocabolo che andava di moda in tempi non sospetti.
E’ arrivato il momento di essere resilienti, con il carattere e la concretezza.
Non abbiamo più tempo e se decidiamo di uscire dalla crisi basandoci sulle nostre forze, cioè su quelle energie che ci hanno sempre sostenuto, dobbiamo programmare ogni passaggio.
Il basket mi ha insegnato a programmare ogni singolo passaggio, anche di quelli che non sembrano condurre direttamente al nostro obiettivo.
Pensate ad un atleta di massimo livello, al di là di ogni stereotipo: i luoghi comuni lasciamoli alla porta. Un atleta professionista, mentre si allena duramente e con costanza per la prossima gara, è immerso in impegni – con tifosi, sponsor, media, dirigenza – che non sembrano connessi al risultato finale della stagione.
Possono sembrare distrazioni.
Eppure, la sua vita comprende tanto palestra e campo, quanto le altre relazioni extra sportive.
La continuità, che è prendersi cura dell’obiettivo sul lungo periodo, è saper dosare se stessi, restare in equilibrio, fondamentale questo, e dare la propria forma a tutto ciò che contribuisce al risultato finale, tutto.
Questo è possibile unendo in ogni istante motivazione lo stato mentale di cui abbiamo parlato poco fa e la concentrazione.
Non c’è nessuna formula magica, e i tempi che viviamo stanno spegnendo i nostri sogni, sta a noi tenerli vivi e sapere che
la continuità e l’innovazione sono uno dei segreti per consolidare e rafforzare il valore di ciò che abbiamo creato, prima della crisi.
Voglio condividere con voi un’immagine, che ci porta, idealmente, in montagna, che è uno dei luoghi che sono parte di me, assieme ai campi da gioco.
Dopo mesi di preparazione, energie, sacrifici, una lunga rincorsa, siamo arrivati al giorno in cui arriveremo sulla cima che tanto desideriamo.
L’aria è frizzante, la temperatura perfetta per affrontare il percorso che porterà lassù.
Siamo in forza, allenati, abbiamo il nostro talento con noi e l’attrezzatura giusta.
Ma se non ci organizziamo e se non iniziamo a muoverci, la vetta resterà un desiderio astratto.
La scalata inizia al campo base. E, per come la vedo io, non importa se dal campo base non vediamo la vetta. Sappiamo che c’è e tanto basta.
Partiamo. La meta non è la vetta, ma è il campo 1. La nostra missione ora è arrivare lì, a fine mese, per noi, per le nostre famiglie, i nostri collaboratori e anche per i nostri clienti. Poi c’è il campo 2, il 3 e tutti quelli necessari per raggiungere l’obiettivo definitivo: che è uscire dalla crisi, nonostante la crisi ci sia.
Ogni giorno raggiungiamo un campo e ci organizziamo per il successivo.
E poi ancora, ancora.
La vetta inizierà ad apparire.
Non dobbiamo mai darla per scontata, specie quando i campi da raggiungere resteranno pochissimi. Se ci pensate, in luglio la pandemia sembrava quasi domata, invece siamo qui ancora nell’occhio della tempesta.
Ciò che ci spinge a procedere organizzati, con sforzi sostenibili, non ci fa bruciare energie e risorse, che ci fa risparmiare, investendo, ciò che guida in tutto ciò che sarà necessario fare ed essere, innovando, è la concentrazione.
E la concentrazione impone di essere innovativi.
Non sappiamo quanto durerà l’emergenza sanitaria, non sappiamo cosa accadrà, ma abbiamo scelto di restare, nonostante tutto, e quindi, adattando noi, il nostro team, il nostro servizio al tempo presente.
Avete diversificato e dovete continuare a diversificare, come molti di voi hanno già fatto: appena possibile, durante il lockdown, introducendo il servizio da asporto, o la consegna nelle case e negli uffici o cucinando nelle case dei clienti.
Ho visto un ristoratore a Treviso, vecchio stampo, che, dopo una tradizione di ospitalità di oltre 30 anni, si è organizzato per il servizio da asporto e, adesso, lo propone direttamente nella prima pagina del menù, quasi come alternativa alla cucina casalinga. Mi ha detto che non avrebbe mai immaginato di doverlo fare, eppure sta avendo soddisfazioni.
Mi racconta un mio amico di Reggio Emilia, che a Parma, un bar del centro, che aveva come clienti praticamente solo impiegati e commessi, ha realizzato dei contenitori appositi, per garantire i pasti a domicilio, mantenendo le convenzioni con le varie aziende, basate sui buoni pasto, e ha mantenuto il bacino di clienti tra quelle persone che abitavano in città e che non potevano o non possono recarsi nella sede abituale di lavoro.
Altri hanno implementato la presenza sui social, con forme di marketing aggressivo, per garantirsi di arrivare ai clienti già fidelizzati, ma anche a fasce nuove di bisogni e dunque clientela.
Vi faccio l’esempio di un birrificio artigianale in provincia di Treviso, dalle parti del Montello, che produce tutti gli ingredienti per la birrificazione e, durante il lockdown, ha promosso via Instagram la scatola degustazione, con consegna a domicilio, o spedizioni in tutta Italia, per far conoscere i propri prodotti.
E ha aumentato la base della sua clientela.
Nessuna formula magica, solo accettazione – responsabilità – stato mentale – scelte – concentrazione ed innovazione.
La concentrazione e l’innovazione sono esercizi quotidiani, che guardano il lungo periodo e un po’ più in là.
Del resto, siamo fatti per vivere di orizzonti, non di confini.
Grazie per l’attenzione.