-L’Editoriale di Andrea Ceccotti–
La Slovenia, ufficialmente Repubblica di Slovenia (in sloveno Republika Slovenija), è uno Stato sovrano dell’Europa centrale che noi triestini conosciamo molto bene in quanto confinante a ovest con l’Italia (Friuli-Venezia-Giulia) e soprattutto per il fatto che si affaccia a sud-ovest sul mare Adriatico (Golfo di Trieste).
Dal 1° maggio del 2004 la Slovenia è membro dell’Unione europea e la sua valuta nazionale è di conseguenza l’Euro, adottato nel 1991 dopo la dichiarazione d’indipendenza dalla Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia proclamata il 25 giugno di quell’anno.
Triestini e sloveni sono sempre stati a stretto contatto soprattutto nel mondo dello sport anche ai tempi della Cortina di ferro, locuzione utilizzata in Occidente per indicare la linea di confine che divise l’Europa in due zone separate di influenza politica, dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine della guerra fredda.
Una Cortina di ferro che aveva bisecato l’Europa da Stettino a Trieste e contraddistinto l’epoca dell’Europa dei due mondi. Quello a guida sovietica e comunista a Est e quello a guida americana a Ovest.
Tale bipartizione non era solo contrapposizione frontale, militare, ideologica e morale tra superpotenze. Proprio in quanto tale fungeva da meccanismo di controllo del rispettivo campo. Una sorta di rete a doppio contenimento in cui una parte ne legittimava l’altra e che garantiva l’equilibrio geopolitico.
Tutto questo finì il 9 novembre del 1989 con il crollo del Muro di Berlino.
Visto quanto descritto chiunque potrebbe quindi ragionevolmente pensare che l’interscambio tra italiani e triesini in particolare e l’allora Iugoslavia di cui la Slovenia faceva parte, fosse in quegli anni un’utopia.
Niente di più inesatto!
Sarà stato per la presenza di comunità italiane in Slovenia, in particolare in Istria e per la presenza di comunità slovene in Italia, in particolare sul Carso triestino, che gli interscambi e le frequentazioni reciproche sono sempre avvenute fin dal dopoguerra, nonostante le barbarie delle Foibe e il dramma degli esuli istriani.
Per tanti passare reciprocamente il confine è stato sempre all’ordine del giorno, gli italiani andavano a fare la spesa (benzina e carne) e gli sloveni venivano a Trieste e in Friuli-Venezia-Giulia per lavoro e per comprare i prodotti che nella ex-Iugoslavia erano introvabili (abbigliamento, detersivi, medicinali).
Nello sport l’interscambio era ancora maggiore ed era nella normalità andare reciprocamente a giocare amichevoli e tornei ufficiali in tutte le discipline sportive e specialmente negli sport di squadra.
Dall’entrata della Slovenia nella comunità europea poi e con la conseguente eliminazione delle barriere ai confini, l’interscambio è diventato normalità quotidiana.
Solo la pandemia di quest’anno ha riportato controlli ai confini e ci si augura non si arrivi in caso di un nuovo aumento dei contagi addirittura alla chiusura dei confini, situazione che ci riporterebbe indietro di decenni.
Forse vi chiederete il perché di questa approfondita introduzione storica e cosa possa avere a che fare con lo sport.
Vi ho voluto parlare della realtà di due comunità così vicine e della storia che le lega ma in verità l’ho fatto principalmente per la grande ammirazione che provo per gli eccezionali risultati che lo sport sloveno ha sempre dimostrato di poter ottenere e lo confesso anche per la grande invidia che provo per i nostri vicini di casa.
Un paese che conta poco più di due milioni di abitanti (800.000 in più della mia regione, il Friuli Venezia Giulia e 600.000 in meno rispetto alla popolazione della città di Roma) ha conseguito risultati sportivi incredibili che il nostro e altri stati non si sognano nemmeno.
Cosa manca allo sport italiano per poter competere con quello sloveno?
Per cercare di capirlo fra le innumerevoli testimonianze e dichiarazioni di questi ultimi giorni dopo la doppietta al Tour de France di due ciclisti sloveni (Tadej Pogacar primo sloveno a vincere la gara francese a soli 22 anni e Primoz Roglic arrivato secondo) vi riporto quanto dichiarato da Janez Dvaric. E’ un allenatore sloveno di basket che conosco personalmente da anni e che ha allenato tra le altre la Nazionale slovena di basket e l’Olimpia Lubiana, di cui è stato anche direttore sportivo delle giovanili.
Un testimone sicuramente autorevole per capire il fenomeno Slovenia e che ha dichiarato:
“Naturalmente dietro ai grandi campioni sloveni di oggi, in primis Luca Doncic che milita nell’NBA e Tadej Pogacar nel ciclismo, c’è nello sport sloveno un grande talento. Ma anche i grandi talenti vanno coltivati. Da subito. Lo sport è presente nella scuola. Elementari, medie. Ci sono palestre e campi all’aperto ovunque. Nei primi tre anni di scuola l’educazione fisica viene curata dai maestri ma si cerca di fornire loro una preparazione con l’assistenza di insegnanti specializzati, quelli che poi cureranno i bambini negli anni successivi. Ancora Drvaric: “I ragazzi non vengono indirizzati verso uno sport specifico, vengono avvicinati a diverse discipline. Prendete il ciclista Roglic. Non è nato ciclista, prima saltava con gli sci. Un brutto infortunio gli ha fatto interrompere una carriera promettente, è passato così al ciclismo e guardate dove è arrivato. Può sembrare strano ma in Slovenia la fase in cui lo sport è forse meno rilevante è alle scuole superiori, perché a 15-16 anni gli atleti fanno già parte di società, sono già “maturi”.
“Luca Doncic a 13 anni dimostrava già un potenziale pazzesco. E a 14 era al Real Madrid. A 18 ha vinto gli Europei e a 21 è una star dell’NBA”.
“Anche in Slovenia i ragazzi e le ragazze che fanno sport hanno i cellulari ma non si fanno distrarre..”
“Portando ad esempio la mia attività di allenatore, a Lubiana io effettuo sessioni individuali sui fondamentali. Le formazioni Under 15 si allenano solo al pomeriggio ma ci sono ragazzi che vogliono migliorare e così un paio di volte alla settimana dirigo allenamenti alle 6.30 del mattino. I presidi hanno accettato di buon grado di aprire in anticipo le palestre scolastiche”.
Dal basket al ciclismo.
La doppietta Pogacar-Roglic non ha certo sorpreso Enzo Cainero, il patron delle tappe regionali del Giro d’Italia, testimone dei successi dei due sloveni sulle strade del Friuli Venezia Giulia.
Racconta Cainero: “ Roglic correva la Gran Fondo. Otto anni fa ha vinto la mia Carnia Classic. A Tolmezzo. Pogacar due anni fa ha vinto il Giro del Friuli Venezia Giulia Under 23. Dodici mesi più tardi era terzo alla Vuelta, adesso ha vinto il Tour. E resta un ragazzo semplice, me lo ricordo durante l’ultimo Giro d’Italia femminile quando seguiva da tifoso la sua ragazza”.
Per spiegare l’esplosione dei due talenti sloveni del ciclismo, ancora Cainero: “Roglic e Pogacar non sono gli unici sloveni che vanno forte. Ce ne sono altri. I corridori sloveni, oltre al talento, hanno altri valori. Vedo in loro una “fame” che altri non hanno. Hanno voglia di vincere, nello sport vedono la possibilità di un riscatto, affermano l’orgoglio di una Repubblica giovane. Questo approccio allo sport non si limita al ciclismo o al basket. Penso alla pallavolo, alla pallamano. E non dimentichiamoci che lo sci negli anni scorsi ha espresso una certa Tina Maze..”
Per concludere chissà se mai anche in Italia riusciremo a trarre spunto dall’esperienza slovena, soprattutto noi del Friuli Venezia Giulia che ci viviamo a gomito.
Io senza esitazione per raggiungere lo scopo proporrei da subito di dar vita a livello giovanile a campionati transfrontalieri, progetto su cui si dibatte da anni e che ha anche il placet del nostro CONI Regionale.
Noi italiani, credetemi, avremmo solo da guadagnarci.
Le foto ed i video presenti su PANATHLON PLANET sono state in parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, basterà segnalarlo alla Segreteria di redazione: segreteria.redazione@panathlondistrettoitalia.it, che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.