-Adriana Balzarini–
Le donne, come già sottolineato furono poche ma due fecero molto parlare di loro perché furono etichettate come “poco rappresentative del sesso debole”. Didrikson Mildred chiamata Babe potè partecipare solo a tre discipline, come da regolamento dei Giochi, anche se lei fu una delle più grandi atlete pluridusciplinari. Le tre specialità che scelse per rappresentare gli USA furono: giavellotto, ostacoli e salto in alto. Ma lei non fu solo dedita all’atletica perché fu anche una bravissima nuotatrice e tuffatrice, inoltre si diede all’equitazione e al tiro , al canottaggio, al baseball, all’hochey e al gioco del calcio e a golf vinse ben tre US open. Certo era inimmaginabile per quei tempi che una donna potesse fare tutti questi sport ma “Babe” non si fece intimorire nemmeno di fronte alle dicerie che facevano su di lei e del suo essere poco femminile, al punto di non nascondersi mai per fumarsi il sigaro e bere del whisky per rilassarsi. Vinse due ori olimpici ai giocchi del 1932 :uno negli 80 ostacoli e l’altro nel lancio del giavellotto. Nel salto in alto saltò la stessa misura della sua diretta rivale migliorando il record del mondo ma nello spareggio a diversità della sua connazionale, Jean Shiley, Babe portò avanti la testa e poi il resto del corpo. Si ritrovò, dopo una riunione di giuria, retrocessa al secondo posto ottenendo la medaglia d’argento. Subì, come già detto vessazioni sul suo fisico mascolino ma lei non se ne curò e si sposò con George Zaharias, un wrestler professionista. Negli anni ’40 fu la più grande donna golfista di tutti i tempi e l’Associated Press dichiarò Babe Didrikson-Zaharias come “donna atleta del mezzo secolo” nel 1950. Paul Gallico, scrittore americano, le ha forse reso il più bel tributo: “Molto è stato detto di Babe Didrikson’, la naturale attitudine per lo sport, così come il suo spirito competitivo e l’indomita volontà di vincere. Ma non è stato detto abbastanza della pazienza e della forza del carattere espresse nella sua volontà di esercitarsi all’infinito, e del suo riconoscimento che poteva raggiungere la cima e rimanere lì solo con un duro lavoro incessante. ” La definì anche “l’atleta più talentuoso, maschio o femmina, mai sviluppato nel nostro paese
Un’altra donna che fece scalpore fu Stella Walsh atleta polacca ma americana d’adozione. Era sempre stata la più veloce fin da bambina e da ragazzina si confermò come la miglior giocatrice di baseball della South High School, gioco che fu la sua unica possibilità giocando nella squadra maschile. Eccelleva in tutti gli sport che provava: nel basket, nel softball, sapeva anche pattinare sul ghiaccio ed era agilissima nella corsa. In un’epoca in cui per le donne competere in gare sportive non sembrava ancora una consuetudine sana lei non si soffermò a questi dibattiti ma collezionò vittorie dimostrando che un cambiamento di pensiero poteva avvenire. Quando i Giochi arrivarono a Los Angeles tutti si chiesero per quale nazionalità Stella Walsh , in realtà il suo vero nome era Stanislawa Walaisiewicz, anche se la sua vera patria la considerava una straniera visto che da piccola era emigrata con i genitori in quell’America che regalava sogni di benessere e talvolta anche ricchezza. Lei avrebbe voluto gareggiare per gli USA ma ai tempi di cui parliamo gli atleti dovevano pagare l’iscrizione e la famiglia dell’atleta non era in condizioni finanziarie per offrirle questa opportunità. La possibilità di poter partecipare ai Giochi le impose la ricerca di un lavoro e lo trovò presso il consolato della Polonia a New York. Una scelta che le costerà doppiamente cara, la prima perché dovette rassegnarsi a gareggiare per la Polonia e la seconda perché in seguito dovette attendere quindici anni per ottenere la cittadinanza americana. Ai Giochi di Los Angeles gareggiò con il suo vero nome, Stanisława Walasiewicz, e non quello americanizzato ma disse ai giornalisti che la intervistarono che una parte del suo cuore era per l’America. Corse i 100 metri piani in 11″9 registrando il record mondiale che durò fino ai Giochi di Roma 1960, eguagliato da Wilma Rudolf, ma rimane per sempre ad essere stata la prima donna della storia a infrangere la barriera dei dodici secondi. Partecipò in seguito all’Olimpiade del 1936 a Berlino ma si ritrovò a gareggiare con una giovane americana , bella alta e slanciata, una americana che nell’immaginario rappresentava benissimo l’America. M la 17enne Helen Stephens, non era solo questo era anche velocissima e nei 100 metri vinse l’oro senza nessuna paura di quella Walsh che deteneva il titolo , del resto lei non la conosceva nemmeno perché per le classifiche era una polacca. Giorni dopo la gara un giornale polacco pubblicò nero su bianco che Helen Stephens non era veramente una donna per coprire e fare da barriera sulle dicerie che circolavano della loro atleta, anch’essa segnalata più come uomo che donna. Insinuazioni errate per l’americana che invece si rilevarono ambigue per la polacca ma che in seguito al suo matrimonio con il pugile Neil Olson tutto si mise nel dimenticatoio e diventando per matrimonio americana continuò a gareggiare sfiorando le qualificazioni per Melbourne. Putroppo una sera di fronte ad un supermercato sarà colpita da una pallottola vagante che la colpirà all’addome mettendo fine alla sua vita. Seppur avesse vissuto tutto la vita come una donna qualsiasi si scoprì dopo la sua autopsia che fu resa pubblica che, senza giri di parole, alcuni giornalisti riportarono che la Walsh non aveva un utero, ma un’uretra malformata e un pene non funzionante, in verità l’autopsia appurò che presentava una rara anomalia, detta mosaicismo. Cercarono di annullare tutte le sue vittorie e i suoi record ma la medicina e la psicolgia le venne incontro dicendo che lei aveva sempre vissuto ed affrontato la vita come donna. l libro di Anderson, scritto su di lei, raggiunge per questo caso due obiettivi: in primo luogo, presentare la biografia più completa e ben studiata di Walsh disponibile fino ad oggi, e in secondo luogo, provare a riformulare la narrazione storica per concentrarsi sui suoi successi, piuttosto che sul più noto, post- speculazione omicida sui suoi schemi cromosomici.