–Redazione Gianni Brera
–Di Sara Mella–
Luigi Garlando è un giornalista e scrittore milanese, nato nel 1962. È laureato in lettere moderne e inizia la propria carriera nel mondo dei fumetti. Ha insegnato sia alle scuole medie che al liceo. Nel frattempo, frequenta una scuola di giornalismo e approda a “La Gazzetta dello Sport”. La sua passione per la scrittura si unisce a quella per il calcio e diventa giornalista sportivo. Eredita la rubrica di Cannavò e scrive per il giornale e per il supplemento “SportWeek”, in cui cura una propria rubrica chiamata “Con questa mia…”, dedicata al calcio. Come inviato, ha partecipato a due campionati del mondo, Corea e Giappone 2002 e Germania 2006, due olimpiadi e un Tour de France. Per il racconto sportivo e la sezione inchieste è stato premiato dal CONI. Scrive libri per ragazzi, trattando temi di attualità, sociali e sportivi sostenendo che “Non esistono temi da grandi e temi da bambini, ma esistono modi diversi di affrontarli”. Scrive anche libri per adulti, come “Ora sei una stella. Il romanzo dell’Inter” per il quale ha ricevuto, nel 2008, il “Premio Bancarella Sport”. Nel 2005 vince il “Premio Cento” per il libro “Mio papà scrive la guerra”. Nell’ambito della 54esima edizione del “Premio Strega Ragazzi e Ragazze 2017”, Luigi Garlando viene nominato vincitore per la categoria 11-15 anni, per il libro “L’estate che conobbi il Che”.
Garlando presenta quindi una doppia valenza di giornalista dalla scrittura moderna e agile e scrittore, per bambini e adulti. Descrive nel libro “Faccio il giornalista – Il mestiere più bello del mondo”, i suoi primi passi nel giornalismo, la continuazione della sua carriera e gli aneddoti delle chiacchierate con i direttori e gli sportivi. Fin da bambino non nutre la passione per la lettura, mentre quella per lo sport e in particolare per il calcio, nasce con lui. L’interesse per i libri arriva al liceo classico, dove il suo professore di italiano gli spalanca le porte della lettura con “Non sparate sui narcisi”. Una storia che insegna come, nel giornalismo, non sempre chi inizia a leggere e scrivere a cinque anni può diventare giornalista e chi inizia tardi ad appassionarsi a questi temi non può. Scrittori, come dice lui, si diventa, non si nasce. Unisce le sue due grandi passioni, che lo indirizzano al giornalismo sportivo.
Carriera che lo porterà a seguire la campagna della nazionale azzurra del 2006 in Germania di cui ricorda con più piacere la semifinale contro la Germania. È incaricato di scrivere un pezzo sul protagonista della partita, che si manteneva sullo 0-0 al 120’. Fino a quel momento neanche una riga scritta. Lo ritiene l’attimo più stressante della sua carriera. Tutto cambia al goal di Grosso e scrive le “70 righe più veloci di tutta la sua vita”.
In un’intervista a tu per tu con lo scrittore, chiedo quale sia la differenza sostanziale tra scrivere articoli sulla Gazzetta dello Sport e produrre narrativa per ragazzi. Ciò che emerge è una differenza sostanziale: scrivere un articolo giornalistico, in particolare di cronaca, è sempre una fotografia fedele di quello che accade mentre scrivendo libri, Garlando riesce a usare molto di più la fantasia, inventando storie e personaggi, come se la scrittura diventasse un gioco. Questa doppia valenza viaggia in armonia, tanto da ritenere il giornalismo e la letteratura “buoni amici”. Anzi di più, si aiutano a vicenda perché, come sostiene: “La prima figura viaggia e osserva il mondo mettendo a disposizione dello scrittore molte esperienze e idee che poi diventano oggetto di racconto”. Il tempo è l’unico nemico di questo rapporto ed è così che le due passioni cercano di strapparsi a vicenda qualche ora.
Ciò che guida entrambi i percorsi è l’irrefrenabile curiosità e come dice Garlando: “Restare sempre in ascolto, a orecchie tese e occhi aperti, perché in ogni momento, una cosa che vedi o che ascolti, può ispirarti una storia o un personaggio”. È questa la risposta alla curiosità che mi ha portato a chiedere ciò da cui prende spunto per i suoi libri. Emerge che i racconti sono nati proprio da mille stimoli diversi. “Per questo mi chiamo Giovanni” dal consiglio di un’amica libraia che lo indirizza verso la storia di Giovanni Falcone; “Mio papà scrive la guerra” è nato dall’omicidio della giovane giornalista del Corriere della Sera, Maria Grazie Cutuli, a cui è stato dedicato il romanzo; l’idea di scrivere “L’estate che conobbi il Che” è nata leggendo le lettere del rivoluzionario argentino; la serie “Gol” sul calcio, per bambini, è sbocciata vedendo molte scene poco edificanti durante partite di ragazzi: genitori che litigavano in tribuna o insultavano l’arbitro, allenatori che pretendevano la vittoria a tutti i costi dai loro bambini… Da qui l’idea di mettere in campo una squadra che desse il buon esempio. Così sono nate le “Cipolline”. È evidente l’eterogeneità dei personaggi rappresentati dallo scrittore, che spesso però presentano caratteri simili. Sono chiari esempi i protagonisti Che Guevara, Maddaloni, Napoleone, il Papa che accomuna per la grande generosità, anche se rappresentano tipologia di uomini diversi. Basti pensare a Falcone che è un uomo di Stato, Che Guevara un rivoluzionario ateo mentre il Papa capo della cristianità. Tutti provenienti da mondi diversi ma con la stessa caparbietà diretta a combattere le ingiustizie a livelli diversi. Quasi tutti i racconti di Garlando sono incentrati sui temi della legalità e della giustizia. Leggendo “O’ maè , storia di judo e camorra” è evidente l’intreccio tra il ruolo dello sport come palestra di vita e la possibilità di riscatto in realtà difficili. Dal dialogo con lo scrittore si percepisce la volontà di rivolgersi ai ragazzi diffondendo i propri valori e a questo proposito Garlando sostiene che: “La legalità è un valore che mi sta molto a cuore e credo che sia un punto di riferimento obbligato per uno scrittore che si rivolge ai ragazzi. Lo sport, che allena al rispetto di un regolamento, al rispetto di uno spazio e di un tempo di gioco, al rispetto dei compagni di squadra e degli avversari, è la miglior palestra di legalità che un ragazzo possa trovare. Lo spogliatoio e la partita educano non meno della scuola”. Proprio tramite il judo, Filippo protagonista del libro “O Maè, storia di judo e di camorra”, riesce a cambiare il suo futuro destinato ad entrare nel sistema della camorra e riscattarsi grazie agli insegnamenti di Maddaloni, il proprio maestro. È proprio lui a convincere Filippo che “il destino non è un’ombra legata al piede, ma è solo un chewingum sotto la scarpa che se uno vuole se lo stacca”. Il percorso è tempestoso e il riscatto duro, soprattutto laddove l’onore e il valore sembrano essere riconosciuti solo dal Sistema. Per cui lo sport diventa un linguaggio che usa Garlando per spiegare realtà più complesse.
Un altro esempio è il romanzo “Per questo mi chiamo Giovanni”, dedicato alla vita di Giovanni Falcone. Dice lo scrittore: “Un papà racconta al figlio la storia avventurosa del magistrato palermitano e, per spiegare un fenomeno complesso come la mafia, ricorre anche a metafore calcistiche. Lo sport ha anche questo prezioso valore: di unire generazioni diverse e persone lontane per cultura e condizione sociale”. La difficoltà principale è raggiungere il pensiero di un bambino affrontando temi così complessi e delicati. È apprezzabile la capacità dello scrittore di entrare in sintonia con i ragazzi, attraverso storie divertenti e scorrevoli che sanno essere però anche significative. Essendo sia uno scrittore per ragazzi, come già detto, ma anche per adulti, ho chiesto a Garlando se esistessero tematiche differenti per gli svariati lettori o semplicemente modi diversi di affrontarle. Il pensiero dello scrittore è: “Alla base dei miei libri c’è una convinzione, che non esistano argomenti per piccoli e argomenti per grandi. Esistono semmai modi diversi e parole diverse per raccontarli. Con i miei lettori ho affrontato temi apparentemente “da grandi” come la mafia e la politica e ho raccontato personaggi complessi come Che Guevara. Se la storia è appassionante e il linguaggio della narrazione facile da comprendere, ricco di immagini e di paragoni, i ragazzi accolgono qualsiasi tipo di proposta letteraria”.
Garlando è seguito molto per la sua serie fortunata “Gol!”, con il motto più conosciuto delle Cipolline ovvero “Chi si diverte, non perde mai”. I protagonisti sono molti, tra cui Gaston Champignon, il cuoco-allenatore, maestro di fairplay che insegna un altro motto ai suoi giocatori “Noi siamo un fiore, non petali”. Alla domanda se questi motti rappresentino la vera essenza dello sport, lo scrittore risponde: “Divertirsi insieme, con spirito di squadra, nel rispetto delle regole e degli avversari che per le Cipolline non sono nemici, ma amici che giocano con una maglia diversa: lo sport è tutto qui. E non è poco”.