-di Andrea Ceccotti–
Agli inizi della mia carriera di giocatore di pallacanestro quando militavo nelle giovanili dell’ITALSIDER Trieste, il papà di un mio compagno di squadra il Dott.Bruno Vidorno, noto imprenditore della nostra città, amava ricordare con orgoglio a noi giovani virgulti che aveva giocato a basket assieme a Vittorio Gassman.
Io che a quei tempi vedevo Gassman alla televisione e nei cinema nelle vesti di uno dei più grandi attori della storia, stentavo a credere alle sue parole.
Nel ricordo di quei tempi e per approfondire la storia di un mito impossibile da dimenticare a 20 anni dalla sua scomparsa, ho voluto quindi andare a documentarmi in merito al suo rapporto con il basket.
In effetti se Vittorio Gassman manca al teatro, al cinema e al grande schermo, sempre troppo poco si è parlato della sua passione per la pallacanestro.
Nella mitica squadra del Parioli Vittorio Gassman fu protagonista della grande scalata nella massima serie, dall’ottavo posto del 1939 al secondo nel 1942 dietro la fortissima Reyer Venezia. Pivot ruvido, dai gomiti appuntiti in area pitturata e una buona dose di cattiveria sportiva, sopperiva a lacune tecniche. Non certo il tiro che eseguiva con un elegante movimento a una mano adagiando la palla, quando l’angolo lo permetteva, all’amato tabellone.
Un’ascesa nel mondo del basket che non regalerà scudetti a Gassman ma la convocazione in Nazionale si, prima quella universitaria e poi quella maggiore ahimè troncata dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale. Ed è proprio sull’esordio azzurro il celebre attore volle soffermarsi giunto per un lavoro teatrale a Trieste:
“Io di Trieste ho ricordi cestistici molto importanti. Rammento la palestra della Ginnastica Triestina, mi sfugge la via dove fosse ubicata, storico teatro in cui venni a giocare due volte col Parioli, vincendo una volta e perdendo l’altra.” Ma c’era molto di più come si evince dall’incalzante ed entusiasta testimonianza del cestista/attore:
“Sempre alla Ginnastica Triestina esordii con la nazionale maggiore, contro la Germania.” Al momento dell’intervista la palestra citata era sede di pomeriggi danzanti, e stupito della cosa Gassman regalò una battuta ad effetto alla avvenente giornalista: “beh, allora vorrà dire che la porterò a ballare.” Un vero Fuoriclasse.
Questa testimonianza da triestino ancora oggi non può che farmi un grande piacere e va ad avvalorare quanto raccontava a noi scettici virgulti del basket, il buon Dott.Bruno Vidorno.
Ma torniamo alla carriera sportiva di Vittorio Gassman e alla finale scudetto che giocò il 14 giugno del 1942 nella storica palestra della Misericordia di Venezia (ricavata da un vecchio edificio del ‘500). I playoff del basket non esistevano ancora ma quello tra la Reyer di Venezia e la Parioli Roma, venne considerato un vero e proprio spareggio per l’assegnazione del tricolore. La squadra romana era stata intitolata a Bruno Mussolini, terzogenito del Duce, dopo la sua tragica morte su un velivolo di guerra avvenuta nell’agosto del ’41.
Il giorno della partita le cronache dell’epoca segnalano un gran caldo, ma non solo per il clima estivo. Infatti la palestra che ospitava la partita dell’anno era piena e ribolliva di passione per i tanti tifosi presenti. La stessa palestra veniva considerata tra le più belle del mondo: i muri spessi, soffitti alti, le pareti affrescate da Jacopo Sansovino. Quel campo tra l’altro permetteva di giocare al coperto e, all’epoca, era un lusso. Succedeva solo a Trieste, a Bologna nella chiesa di Santa Lucia e a Venezia.
Le cronache dell’epoca parlano anche di una partita burrascosa di incidenti, con una scazzottata generale in campo e negli spogliatoi, che la squadra veneziana si aggiudicò per cinque punti (33-28) nonostante rimase con soli quattro giocatori in campo, a causa dell’uscita per falli di tre suoi giocatori (all’epoca i giocatori a referto dovevano essere solo sette).
Vittorio Gassman che aveva solo 19 anni, forse per l’emozione, incappò in una brutta prestazione: 3 punti con 1 su 7 nei tiri liberi. Praticamente non fu quel “Mattatore” che in seguito si fece molto apprezzare da attore, regista, scrittore e sceneggiatore.
Il mattino seguente il Corriere dello Sport sentenziava: “Vittorio Gassman delude, accecato ormai dalle luci della ribalta”.
Il perfido giornalista non gli capitò tra le mani e fu meglio così…ma quella mattina leggendo l’articolo Gassman prese la decisione di incanalare nella disciplina teatrale la sua prestanza scenica, sottraendola alla terra – ancora dura- dei campi di pallacanestro.
Il mondo dello spettacolo non avrebbe mai smesso di benedire quella scelta.
Certo non fu la maniera migliore di congedarsi dalla pallacanestro. Ma trattandosi di un cambio di scena, e non di un’uscita, tutto sembrò normale, per non dire provvidenziale.
Da allora in avanti gli si puntarono contro i riflettori del teatro, del cinema e successivamente della televisione; i riconoscimenti (12 David di Donatello, 6 Nastri d’argento, i principali) si sarebbero rilevati di gran lunga più gratificanti.
Un svolta decisiva, un salto di qualità. Senza rinnegare il passato anzi valorizzandolo, perché se le sue evoluzioni apparivano così virtuose e a volta acrobatiche, il merito andava proprio – e Gassman ci teneva sempre a ricordarlo – alla disciplina sportiva della pallacanestro che lo aveva formato, nel fisico e nel temperamento.
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