-L’Uci si assoggetta e s’inchina ai voleri dell’Aso
-di Lorenzo Fabiano della Valdonega
«La voce del padrone» è l’album che segnò l’ascesa di un artista eclettico e geniale come Franco Battiato. E che diavolo c’entra col ciclismo? Presto detto. Il Tour de France si fa, Giro d’Italia e Vuelta España, prima si accodino e poi si vedrà. La voce del padrone è questa. Partenza della Grande Boucle da Nizza il 29 agosto, arrivo come di consueto a Parigi il 20 settembre. Sistemata la regina di tutte le corse, sul resto del mazzo, stando sulle note di Franco Battiato, il rischio che «sventoli sul ponte bandiera bianca», è quantomeno concreto. Si naviga a vista, lo sport più diffuso in questi tempi grami di pandemia, nel mare agitato delle illazioni e delle ipotesi. Cose che neanche alla pesca di imprevisti e probabilità sul tavolo del Monopoli.
Da quanto filtra, il Giro si potrebbe correre tra le brume di ottobre, la Vuelta slitterebbe addirittura a novembre. Bell’impaccio, bel garbuglio. L’Uci, una federazione internazionale che assomiglia sempre di più all’Onu quando soffiano venti guerra e si deve relazionare con i potenti della terra, si assoggetta e s’inchina ai voleri di Aso, la potentissima società che governa il Tour, ma pure grandi classiche la Parigi-Roubaix e la Liegi-Bastogne-Liegi, e al suo insindacabile giudizio. Rimane tuttavia da capire, stanti le indicazioni che come pane quotidiano arrivano dal mondo della medicina, come il Palazzo intenda far disputare le corse, e cosa soprattutto ne pensino i protagonisti, vale a dire i corridori, che chiusi in casa a sciropparsi per ore noiosissime sedute sui rulli si troverebbero ad affrontare una stagione concentrata nei tre mesi autunnali, rischiando di arrivarci a corto di allenamento e in condizioni di forma nella migliore delle ipotesi parecchio precaria.
Ma c’è di più: già bistrattati dall’onnivoro basilisco d’oltralpe, per i nani da giardino Giro e Vuelta si starebbe profilando anche la beffa di vedersi accorciare la durata della corsa. Per non dire, che si troverebbero a sovrapporsi con le classiche, che secondo i cervellotici calcoli dell’Uci si dovrebbero disputare tutte in autunno. Cazziati e mazziati. Come noto, l’Ungheria si è chiamata fuori (mettersi a discutere e sollevare obiezioni con un tipetto aperto al dialogo come Orban, non ci pare la più brillante delle idee), quindi il Giro partirebbe dalla Sicilia. Bene. Ottobre negli ultimi anni ha offerto mitezza e si spera ora lo continui a fare almeno per quest’anno: bene pure questo. Le incognite maggiori riguarderebbero però le tappe alpine concentrate nell’ultima settimana: e lì allora non resta che aggrapparsi alla benevolenza della bacchetta del colonnello Bernacca dall’alto dei cieli. Bene no, scongiuri tanti. Si parte con la camicia, se va bene si arriva a Milano col maglione. In quanto alla Vuelta, beh… tirate pure fuori i piumini per quando transiterà sui Pirenei e sui mangiabevi ventosi delle Asturie. Auguri.
Detta così, vista così, parrebbe di stare davanti a un virtual tanto di moda tra gli amatori di questi tempi di forzata clausura tra le mura domestiche; e invece è tutto vero. Qualche parola vorremmo sentirla magari a sostegno della galassia di piccoli gruppi sportivi, da sempre vivai e cuori pulsanti del mondo del pedale, che nella morsa della recessione, senza più sponsorizzazioni rischiano seriamente di sparire. Tutto tace. Intanto il Tour s’ha da fare, poi si vedrà. Ma un briciolo di par condicio, proprio no…? E allora se Battiato ci sta tutto, qui finisce che rispolveriamo Gigliola Cinquetti sulle note di «Qui comando io, questa è casa mia»
Forse, è ancora più a tono. Va così.
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