-Redazione “Gianni Brera”-
I sogni son desideri, ma a vollte…
di Alessandro Fontana
Mantova mi è sempre piaciuta. Ai miei occhi conserva ancora il fascino nobile e discreto delle città di provincia governate dalle grandi dinastie, e al tempo stesso quella genuinità tipica della cultura rurale. Lo scorcio meraviglioso che la città offre quando si attraversa il ponte di San Giorgio mi evoca sempre sensazioni particolari.
Mantova è città di cultura ma anche di grande tradizione enogastronomica. Un connubio dal forte valore simbolico, che rimanda ad uno stile di vita ormai fagocitato dai ritmi frenetici della società moderna. Penso a tutto questo mentre mi dirigo a piedi, pervaso da una strana ed inaspettata sensazione di euforia e grande attesa, alla Libreria Di Pellegrini.
In questa suggestiva cornice Gianni Mura, una delle penne più autorevoli del giornalismo sportivo italiano, presenta i suoi ultimi libri, Non gioco più, me ne vado. Gregari e campioni, coppe e bidoni, una raccolta dei suoi articoli pubblicati su Gazzetta dello Sport, Epoca e Repubblica e Tanti Amori, il resoconto di una serie di conversazioni nelle quali Mura ha raccontato a Marco Manzoni cinquant’anni di giornalismo sportivo. L’incontro è organizzato dal Panathlon Club “Gianni Brera” dell’Università di Verona in collaborazione con il Panathlon di Mantova.
L’attesa sale, Mura è un giornalista navigato ed esperto, se vogliamo un po’ naif nel suo anacronismo, ma è proprio questo che ai miei occhi lo rende unico. Mura è un anticonformista, gli piace la cucina e il buon vino (e a chi non piace verrebbe da obiettare…) e detesta l’ipocrisia che impera nel mondo dello sport. Gli ingredienti per una grande serata ci sono tutti. L’appuntamento, concordato via mail con gli amici del “Gianni Brera”, è per le 18.00 davanti alla libreria.
Arrivo alle 18.15, un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia a causa delle difficoltà nel trovare parcheggio, ma convinto di essere ancora in tempo. Purtroppo quando entro in libreria mi accorgo con grande rammarico che l’incontro è già cominciato. E i posti migliori sono già occupati. Una breve occhiata per vedere se ci sono i colleghi del “Gianni Brera”, che riconosco là davanti in prima fila. Moderatori dell’incontro sono il nostro mentore Adalberto Scemma e il capo redattore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi.
Mi colpisce subito l’abbigliamento di Mura, che concede poco o nulla alla forma e all’apparenza. Fortunatamente c’è ancora una sedia libera in posizione defilata così decido di prendere posto. Mi sento subito a mio agio, il timbro caldo e pacato di Mura invoglia all’ascolto ed evoca subito in me l’immagine di un giornalismo d’altri tempi, quello che mi ha sempre affascinato, il giornalismo in bianco e nero delle macchine da scrivere, delle redazioni caotiche impregnate del fumo di sigaretta e delle giornate trascorse al campo in attesa di fare due chiacchiere con i giocatori al termine dell’allenamento. Una suggestione che forse viene dalle copertine del secondo volume de I Quaderni dell’Arcimatto collocati proprio dietro Mura, copertine su cui campeggia il volto di Brera, cui associo proprio quell’immagine di giornalismo.
E tra un aneddoto e l’altro Mura ricorda proprio Brera e la sua abilità nello scrivere a macchina con straordinaria velocità. “Aveva dei ritmi da pizzeria ma sfornava dei pezzi che erano piatti d’alta cucina”. Un immagine straordinaria che mi rapisce all’istante. Entro definitivamente in sintonia con l’ambiente e ascolto divertito l’illustre ospite che offre alla platea il suo personale spaccato di un calcio d’altri tempi. Un calcio in cui potevi vedere Skoglund che al bar riusciva a farsi offrire giri e giri di Campari scommettendo sulle sue abilità balistiche con una monetina, o Rocco che al telefono apostrofava in dialetto ogni giornalista che osasse chiamarlo di mattina presto, essendo nota la sua propensione al gioco delle carte fino a notte inoltrata. Ma tra un aneddoto sportivo e l’altro Mura disserta anche di cucina (ricordando Veronelli) di poesie e di musica, racconta e lascia fluire liberamente i ricordi legati alla sua esperienza di giornalista come inviato al Tour de France nonché la sua idiosincrasia per le apparizioni televisive, l’ultima legata proprio al ciclismo con l’apparizione in Rai ad una puntata del “Processo alla Tappa” nel 2010.
Mura non è un giornalista da palcoscenico, al contrario ama l’Italia di provincia culla di uno sport “minore”, ricco di episodi significativi che forse sono lo specchio più fedele dell’evoluzione sociologica e culturale del Belpaese. In un certo senso sembra amare quell’Italia proletaria e genuina che credeva ancora fermamente in valori quali lealtà, dignità e correttezza, nello sport come nella vita di tutti i giorni. Un’Italia che potevi ritrovare nelle canzoni di Gaber e Jannacci. “Ai funerali di Jannacci ho visto persone che non uscivano forse da tempo e che hanno voluto tributare il loro ultimo omaggio ad un artista che li ha rappresentati. Questi gruppi di persone con una dignità da quarto stato mi ricordavano il famoso quadro di Pellizza da Volpedo”. Un sublime e poetico ritratto di una generazione in cui Mura è cresciuto e che sta lentamente cedendo il passo alle nuove che avanzano. Nella vita come nel giornalismo.
“Io cerco di non imbrogliare i lettori quando scrivo sul giornale – ricorda Mura – negli ultimi tempi quello che è venuto meno, morta dopo lenta agonia, è la critica letteraria, sportiva e cinematografica. Oggi bisogna parlar bene di tutto”. Forse perché è più facile che essere competenti e prendere posizione? Forse perché la propria libertà intellettuale vale meno di un impiego ben retribuito al soldo di un editore politicamente schierato o condizionato dagli interessi faziosi delle maggiori società di calcio professionistico? Da aspirante giornalista credo ancora fermamente nella cultura e nell’informazione come strumento di crescita intellettuale e di progresso per la nostra società. Credo nello sport e nei valori che rappresenta, credo che sia la rappresentazione ludica della vita, dove chiunque può emergere con sacrificio e abnegazione. Ho imparato ad accettare le sconfitte, e per questo come Mura provo insofferenza per quei dirigenti, giocatori e allenatori che non accettano il verdetto del campo.
Mi rifiuto di credere che non potrà più esserci un altro Hellas Verona com quello guidato da Osvaldo Bagnoli, mi rifiuto di pensare che solo con milioni e indipendentemente dallo sport di cui si è appassionati.
La poesia dello sport sta nello scoprire i tempi lenti, sta nel saper aspettare, come quando si vuole degustare ad arte un buon bicchiere di vino. “Il vino non lo si può possedere subito, bisogna corteggiarlo ed aspettarlo. E bisogna conoscerlo.” E quale miglior preludio poteva esserci alla cena organizzata all’Osteria Ai Ranari dopo l’incontro se non questa citazione, liberamente tratta da una divagazione enogastronomica di Mura in libreria?
L’osteria, considerata una delle migliori in Italia (come recita il cartello all’ingresso…), ci ha ospitati per un piacevole convivio all’insegna della cucina tipica mantovana, culminato con la consegna all’illustre ospite del gagliardetto ufficiale del “Gianni Brera” da parte del presidente Davide Caldelli. La serata, impreziosita dalla simpatia e dalla verve anticonformista del pittore Edoardo Bassoli (che ha omaggiato Mura con un personalissimo ritratto), dalle perle di Adalberto Scemma e dagli aneddoti dell’ex arbitro Massimiliano Saccani, si è rivelata piacevolmente intrigante e senza troppi formalismi di rito. In quei momenti ho provato sensazioni uniche, al fianco degli amici e colleghi giornalisti Federico Vaccari e Roberto Dalla Bella, giovani e promettenti leve di una professione in continuo cambiamento, che come me ambiscono a ritagliarsi il proprio spazio. Sono riuscito anche a vincere quella piccola forma di timore reverenziale che avevo e ho chiesto a Mura se veramente crede ancora che non ci sia più spazio per i giovani nel futuro del giornalismo sportivo, come aveva amaramente sentenziato in un articolo apparso l’anno scorso su un numero del Guerin Sportivo, quasi una sorta di de profundis per il “mestieraccio”.
L’essere lì presente, in quel luogo e in quel contesto particolari, mi ha lasciato qualcosa che probabilmente mi accompagnerà per tutto il resto della mia vita. In quei momenti, spinto dall’ammirazione per coloro che hanno saputo fare giornalismo di qualità con grande coerenza, e con cui ho avuto l’onore e il privilegio di condividere una serata indimenticabile, mi sono ripromesso che farò tutto il possibile per realizzare quello che è il mio più grande sogno, cioè quello di diventare un bravo giornalista.
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