–di Francesco Schillirò–
Voglio continuare la mia carrellata sul passato nel calcio, con un personaggio che mi ha sempre stuzzicato per alcuni tratti del suo carattere, che condivido e che si possono racchiudere nell’essere se stessi, senza maschere utili a recitare sul palco.
Parlando di un “filosofo” poniamoci una domanda: cosa sono le maschere caratteriali?
Possiamo definirle come atteggiamenti non autentici, che sono espressione di difese infantili non riconosciuti e che spesso servono per celare il nostro vero “ego”.
Teniamo presente però che la vita non è un palco, non vi deve essere necessariamente un pubblico che applauda, non bisogna cercare la benevolenza, bisogna sempre essere quel che si è, solo così si può essere solidi e fermi.
Ritornando a Manlio Scopigno, domando e mi domando, perché ho dato a questo remember “un personaggio estroso tra maghi e paron?”, risposta: Ha allenato nel periodo di Helenio Herrera,di Oronzo Pugliese, del grande Paron Nereo Rocco e di tanti altri allenatori di rilievo .
Lui era solo “il filosofo” titolo non solo dovuto ai suoi studi di filosofia, ma anche al suo modo vivendi et agendi.
Mi piace rammentare una sua frase” Il calcio è un castello le cui fondamenta sono le bugie, io dico pane al pane e brocco al brocco e passo per un tipo bizzarro…”
Ed a questo punto, per addentrarci nel personaggio, senza fare i nomi degli attori, è simpatico ricordare una sua espressione durante il mercato calcistico del Gallia.
Interpellato da un Presidente di Club su quel che pensava di un determinato giocatore,
rispose: “è come Levratto”al sorriso contento del Presidente che pensava che stava facendo un ottimo affare e che disse “allora è forte” , Scopigno rispose” no è morto- calcisticamente s’intende”.
Ecco questo suo modo crudo, a volte dissacratore, ne ha fatto un vero personaggio simpatico ad alcuni, da altri mal sopportato, ma profondamente amato dai suoi giocatori.
Aveva un senso cameratesco e bohèmien, che gli permetteva di ottenere il massimo dai suoi calciatori, sapeva guidarli senza l’oppressione del mister, perché li sapeva responsabilizzare.
Ricordo che odiava i ritiri, affermando che servivano alle squadre in odor di retrocessione, che però sempre lo stesso retrocedevano.
Tra le sue affermazioni, simpatica è stata quella esternata dopo una nottata con amici bevendo champagne, ormai aveva abbandonato il “whisky”. Se dormo, non mi devono svegliare, si possono allenare da soli, sanno quello che fanno”.
La sua perla calcistica è stato il Cagliari con il quale ha vinto uno scudetto memorabile e lui affermo “Vincere uno scudetto a Cagliari equivale vincerne cinque a Milano o Torino.
Come lo so e come faccio a dirlo? Me l’ha detto Domenghini che a Milano c’è stato e ce lo ripeteva sempre, per far capire che lui è uno importante.
Il Cagliari ha matematicamente vinto lo scudetto il 12 Aprile del 1970, alla terz’ultima giornata del campionato nella partita giocata in casa e vinta sul Bari.
È stata la prima volta che il Tricolore si è spostato in una città più a Sud della Capitale d’Italia.
Gianni Brera per l’occasione affermerà: “La vittoria dello scudetto ha costituito il vero riscatto sociale per l’Isola, più del sacrificio della Brigata Sassari nelle due guerre mondiali”.
Affermazione che condivido non completamente, forse per la diversa posta in palio, anche perché mio padre, giovane studente in medicina, era tra i partenti per il fronte e bisogna rispettare il motto della brigata significativo e di tutto rispetto “Sa vida pro sa Patria”.
Bene tornando allo sport e a Scopigno, per un’analisi retrospettiva del personaggio, in panchina, a differenza della maggior parte dei suoi colleghi viveva le fasi della partita con un apparente menefreghismo e con aplomb, tranne due simpatici episodi che mi va di rammentare e che sono due espressioni contrastanti del soggetto.
Partita con la JUVE, ultimi minuti, Cera si avvicina alla panchina e chiede “Mister quanto manca?” Risponde Scopigno ”a cosa ,scusa?.
La seconda riguarda un evento occorso a Palermo, con partita persa dal Cagliari per un gol annullato e con espulsione del mister “imbufalito”.
Alla fine della partita, mentre i giocatori rosanero festeggiavano sul campo, avvicina il guardialinee e con discorso un po’ trash dice: Quella bandierina farebbe meglio…, non contento continua, Perché non va anche lei a prendersi gli applausi in mezzo al campo?…”
Fu sospeso dal giudice sportivo per 5 mesi, successivamente ridotti a 4.
Ha vinto lo scudetto senza essere in panchina, ma lui seraficamente ha dichiarato” Si, sono mancato per 16 partite, ma la squalifica si è di fatto ridotta alla mia assenza dalla panchina. Ho diretto gli allenamenti, ho scelto la formazione, ho guidato egualmente la squadra sia pure attraverso l’ottimo vice Ugo Conti.
L’allenatore in panchina conta, ma il Cagliari non ne ha davvero sofferto.
Repetita iuvant, questo è stato l’uomo, questo è stato l’allenatore.
Per il rispetto che porto al grande maestro di giornalismo Gianni Brera vorrei chiudere con una sua affermazione su Scopigno “…A Cagliari è stato socratico nell’esercitare la filosofica ironia.
Ha avuto grandi intuizioni psicologiche da grande pedagogista, esaltando quel mostro di coraggio e bravura che era Gigi Riva”
Nato Friulano, ma di famiglia rietina, ha sempre avuto Rieti nel cuore e la sua città gli ha intitolato nel 2005 lo “Stadio Centro Italia “che è diventato “Centro Italia -Manlio Scopigno” ma non è stato da meno a Cagliari ,dove gli è stata intitolata una Piazza e la Tribuna Stampa dello Stadio Sant’Elia.
Giusto riconoscimento ad un “Ambasciatore” insieme a Gigi Riva della Sardegna.