–OTTAVIO MISSONI, eleganza e semplicità…e quel musicale accento triestino-
Da triestino doc o meglio come si usa dire nel dialetto triestino “patoco” (ndr,autentico), come non sentirmi orgoglioso di poter scrivere un pezzo sul grande Ottavio Missoni.
Non ho avuto purtroppo il piacere di conoscerlo personalmente ma ho avuto modo di parlare spesso di lui con i suoi grandi amici coetanei triestini, Cesare Rubini, Livio Fabiani, Duilio De Gobbis. Erano soliti trascorrere assieme ogni anno le vacanze estive presso l’isola di Korcula in Dalmazia.
Ottavio infatti era nato proprio in Dalmazia, esattamente a Ragusa di Dalmazia l’11 febbraio del 1921. Allora Ragusa faceva parte del Regno di Jugoslavia (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni). Suo padre era di origine friulana (“l’omo de mar” Vittorio Missoni, capitano) mentre la madre era dalmata (Teresa de’ Vidovich, di antica e nobile famiglia di Sebenico).
Quando Ottavio ha solo sei anni si trasferisce con la famiglia a Zara, luogo in cui trascorre la propria giovinezza fino ai vent’anni di età.
Negli anni dell’adolescenza si appassiona allo sport e quando non si dedica allo studio investe molto del suo tempo nell’atletica leggera. Il talento agnostico è alto e non passa molto tempo che si afferma come brillante atleta tanto da vestire la maglia azzurra nel 1935. Le specialità di Missoni sono i 400 metri piani e i 400 metri ostacoli e durante la sua carriera di atleta conquista otto titoli italiani. Il suo successo più importante a livello internazionale è quello del 1939, quando diventa campione mondiale studentesco a Vienna.
Nel 1941 parte soldato per l’Africa e partecipa alla famosa battaglia di El Alamein dove viene fatto prigioniero dagli alleati e trascorre così quattro anni in un campo di prigionia in Egitto. Di quel periodo, con la sua proverbiale ironia, raccontava che non era certamente stato al Club Mediterranée ma comunque per quattro anni ospite di sua maestà britannica. Quattro anni a leggere e dormire: “le passioni della sua vita”.
Riesce a tornare in Italia solo nel 1946, quando raggiunge Trieste. Nel periodo successivo prosegue gli studi iscrivendosi al Liceo Scientifico Guglielmo Oberdan.
Dopo il conflitto torna anche a correre; partecipa alle Olimpiadi di Londra del 1948 e nonostante la lunga inattività patita durante il periodo bellico, riesce nuovamente ad ottenere le performance del passato e a raggiungere la finale dei 400 metri dove si classifica al sesto posto. Corre inoltre come secondo frazionista nelle batterie della staffetta 4 per 400.
Continuerà a gareggiare fino al 1953 ma l’amore per lo sport, la costanza e l’impegno negli allenamenti e la caparbietà nel raggiungere il miglior risultato lo contraddistingueranno per tutta la sua vita. Basti pensare che torna a gareggiare, da master, intorno agli 80 anni, nelle specialità più varie e con una passione sorprendente per il lancio del peso. Anche in questo caso e come sua abitudine usava una battuta fulminante: “Prima do un’occhiata ai necrologi del Corriere per capire chi dovrò affrontare”.
Tornando al Missoni del dopoguerra lontano dalla sua Zara lavora saltuariamente come modello per fotoromanzi a Milano e nella fervente vita metropolitana fa la conoscenza di giornalisti, scrittori e attori di cabaret. E in questo contesto che incontra nuovamente Rosita Jelmini, quella che sarà la sua compagna per tutta la vita. Si erano conosciuti la prima volta a Londra nel ’48, lei sedicenne era a Londra in viaggio studio e lui, 27 anni, come già detto in precedenza, era nella capitale inglese per gareggiare nelle Olimpiadi.
Il 18 aprile del 1953 Missoni sposa Rosita Jelmini, la cui famiglia possiede una fabbrica di scialli e tessuti in provincia di Varese. Intanto apre un laboratorio di maglieria a Trieste con altri due grandi sportivi, il discobolo Giorgio Oberweger e il cestista Livio Fabiani.
Livio Fabiani raccontava che stavano insieme ogni giorno, lavoravano. “Lui(Missoni) poco..” sorrideva narrando Fabiani “e meno male che Rosita lo metteva a posto”. Vivevano alla giornata, divertendosi, ma non avevano soldi. Sempre a Fabiani piaceva ricordare un divertente episodio:
“Un giorno c’è una festa al Savoia (ndr, ancora oggi il miglior albergo di Trieste). Ottavio mi fa: ci andiamo? E io: come? Il giorno dopo avrebbe giocato a Trieste l’Inter e i giocatori erano già arrivati in albergo: lui ne conosceva diversi. Così siamo andati nelle camere di qualcuno di loro, da lì siamo scesi per le scale interne arrivando alle cucine e dalle cucine alla sala”.
Ricordava, sempre l’amico Fabiani, il Missoni giovane atleta olimpico dalla “vita allo sbaraglio”.
E rammentava ancora le sue prime confezioni che ai quei tempi erano molto stravaganti e così fuori dall’ordinario. Molti allora si chiedevano chi mai avrebbe messo quelli “stracci”.
Gli “stracci” si sa, iniziarono poi a indossarli in tanti. Non subito, certo, e dopo difficili inizi.
Col matrimonio la neo famiglia Missoni, moglie e marito, uniscono i loro sforzi spostando la produzione artigianale interamente a Sumirago (Varese). Rosita disegna i vestiti e prepara le confezioni. Ottavio viaggia con il campionario per presentarlo ai negozianti che erano tutti affezionati al nero e cerca di convincerli a comprare i suoi estrosi tessuti colorati. Nel 1954 nasce il loro primo figlio Vittorio: dalla coppia nasceranno anche Luca nel 1956 e Angela nel 1958.
Gli abiti firmati Missoni cominciano ad apparire sulle riviste di moda nel 1960. Due anni più tardi, la macchina da cucire Rachel, nata per la lavorazione degli scialli, viene utilizzata per la prima volta per la creazione dei vestiti. Le creazioni Missoni risultano colorate e leggere. L’innovazione introdotta dall’azienda decreta il successo commerciale di questa linea.
La prima boutique Missoni viene aperta a Milano nel 1976. Nel 1983 Ottavio Missoni realizza i costumi di scena per la prima della Scala di quell’anno, la “Lucia di Lammermoor”. Tre anni più tardi riceve l’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana.
Nella lunga carriera di Missoni nel campo della moda, la sua costante caratteristica è stata quella di non prendere troppo sul serio se stesso come il proprio mestiere. Un suo classico motto era: ”Per vestirsi male non serve seguire la moda, ma aiuta”.
Dichiarava ancora:
“Il mio segreto è che non ho mai frequentato scuole d’arte o di moda. Giocando con i colori ci vennero fuori queste maglie che non esistevano: è sempre così, se segui le regole puoi fare cose belle ma non di rottura. Noi invece ce ne fregammo di quello che c’era in giro e sfondammo con un prodotto che non si era mai visto”.
Il 4 gennaio 2013 il figlio Vittorio è sull’aereo che scompare misteriosamente a Los Roques (Venezuela). Il corpo verrà ritrovato appena il 17 ottobre.
Il cuore di papà Ottavio che tutto ha sopportato nella vita, i sacrifici, gli stenti, la guerra e la prigionia non regge allo stillicidio quotidiano del pensiero fisso della scomparsa del figlio primogenito.
Il 9 maggio 2013, Tai come lo chiamavano tutti, non ce la fa più e si spegne nella sua casa di Sumirago dove aveva voluto tornare chiedendo di essere dimesso dall’ospedale dove era stato ricoverato per scompenso cardiaco.