-di Francesco Schillirò-
Consentitemi, questo divagare, in un giorno di cielo cupo, che in me, che sono come un “pannello solare”, fa uscire la parte, per mia fortuna recondita e rarissimamente emergente, di umore nero.
Consideratelo un soliloquio, erroneamente espresso e divulgato.
Sempre l’uomo ha cercato di primeggiare sul suo simile di stessa o diversa etnia.
Già dall’antica Grecia, culla dei giochi Olimpici e così via di seguito fino ai giorni nostri.
L’attività fisica è stato un modo non bellico di ottenere “l’alloro” del vincitore.
Successivamente è nato lo Sport che la Treccani definisce “Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche ………..praticate nel rispetto di regole certificate da appositi enti sia per spirito competitivo……….sia per divertimento……..”
Nell’analisi delle due tipologie di approccio allo sport, personalmente non condivido, anche perché da panathleta, cozza con i principi di etica e fair play che sono i principi fondanti della nostra Associazione, l’affermazione di George Orwell: “Lo sport serio non ha nulla a che fare con il fair play. È colmo di odio, gelosie, millanterie, indifferenza per ogni regola e piacere sadico nel vedere la violenza: in altre parole, è la guerra senza sparatorie”.
Per onestà intellettuale, se ognuno di noi facesse una attenta analisi, forse un fondo di verità lo troverebbe.
Personalmente ritengo, stimolato dal fumus pessimistico, causato dall’attuale “modus vivendi”, ma spero di sbagliarmi, che, il business planing è il vettore della trasformazione da puro agone a “impresa” ed in conseguenza di ciò, forse Orwell, in parte ha ragione.
A questo punto, allora, è errato dire, come spesso è uso comune “incontro di Calcio, Basket, Volley, Pugilato e via di seguito” perché, se tutto è basato sull’agonismo che non è altro che “impegno e spirito combattivo di un atleta o di una squadra in una gara “‘sarebbe più corretto dire “confronto “che è netta espressione dell’ambizione di primeggiare in una competizione e quindi diventa anacronistico anche l’appellativo di “sfida incontro”.
Il sostantivo” confronto “, nello sport, viene invece, il più delle volte usato quando si devono valutare le caratteristiche di sport diversi.
Da ciò che si è detto, come si può avere fair play? Se nello sport agonistico e di squadra, l’unico fine è il risultato? Se dovessimo analizzare un incontro di calcio, per poter attribuire un premio fair play, a quanti riusciremmo a darlo?
Siamo noi stessi tifosi a stimolare l’aggressività verso gli avversari, dovremmo già noi che pretendiamo sempre il risultato positivo avere rispetto dell’ethos non usando slogan verbali e scritti contro gli “avversari”.
Ma ciò è possibile? Io ritengo che ormai abbiamo preso un piano inclinato senza via di ritorno.
Tutte le nostre frustrazioni della vita, li trasferiamo anche in quei momenti di sport attivo o passivo (spettatori) non facendo insegnamento di quel che aveva detto il barone de Coubertin:” lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla”.
Dovremmo ritornare come ha detto Antonio Ghirelli, nella sua prefazione al libro del Panathlon Napoli:” ad una concezione dello sport oserei dire ad un tempo classica e romantica, legata cioè ad una nobile tradizione culturale e al più puro dilettantismo”.