Scialpinista e skyrunner da record
-di Chiara Felles–
Resilienza, determinazione e un po’ di pazzia, queste sono solo alcune delle caratteristiche che contraddistinguono uno dei più grandi atleti di sempre. Kilian Jornet è uno scialpinista e skyrunner catalano, detentore di innumerevoli record, più volte vincitore della skyrunner world series e della Coppa del mondo di scialpinismo.
Kilian e la montagna sono un tutt’uno, come racconta nel suo libro “Niente è impossibile”: è nato in un rifugio a 2000 mt. di altezza, dove ha anche vissuto gran parte della sua infanzia. Kilian, da sempre legato alla montagna, raggiunge i suoi primi 4000mt all’età di 5 anni, insieme alla madre e al padre, grandi appassionati di montagna. Poco più tardi inizia a correre e a fare gare di scialpinismo.
Lo sci alpinismo è uno sport di grande fascino che richiede un’elevata preparazione fisica e mentale. Questa disciplina prevede una fase di ascensione iniziale seguita da una discesa fuori pista. Lo sci alpinismo è probabilmente il modo più completo di vivere la montagna in inverno, lontano da impianti di risalita e piste affollate di turisti.
Il successo non tarda ad arrivare e Kilian comincia a ottenere una vittoria dietro l’altra. All’età di 25 anni ha già vinto tutte le competizioni possibili, ha conquistato più volte la Coppa del mondo di skyrunning e di sci alpinismo.
Spinto dalla voglia di intraprendere nuove sfide, decide di cimentarsi in un progetto nuovo e alquanto ambizioso, “Summit of my life”, che prevede l’ascensione di alcune delle cime che hanno fatto la storia dell’alpinismo: Monte Bianco, Cervino, Elbrus, Denali, Aconcagua ed Everest. L’obiettivo di Kilian non è solo quello di raggiungere la vetta, bensì di farlo nel minor tempo e con il minor equipaggiamento possibile, allo scopo di vivere lo spirito autentico della montagna, di vivere in modo straordinario, per non limitarsi a sopravvivere, ma andare oltre la superficie. “Summit of my life” è un viaggio anche mentale, una corsa che diventa un percorso di maturazione, un’esperienza al limite tra il possibile e l’impossibile.
Il principale pericolo a cui va in contro uno sci alpinista sono le valanghe. Prima di compiere un’escursione è necessario controllare le condizioni meteo e i bollettini neve, assicurandosi che le condizioni del manto nevoso permettano una scalata in totale sicurezza. Il pericolo valanghe è però estremamente variabile e difficile da prevedere e può sorprendere anche alpinisti esperti come Kilian.
Il progetto inizia nel peggiore dei modi: è proprio nel corso della prima spedizione sul Monte Bianco che Kilian perde il suo compagno di viaggio, Stephane Brosse, un alpinista molto più esperto di lui, dal passo sicuro e deciso, trascinato via per sempre da un cornicione che ha ceduto. È una questione di secondi, attimi che separano la vita dalla morte. La montagna può togliere molto, “se praticata in un certo modo è una scuola indubbiamente dura, a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano” (Walter Bonatti).
Kilian sa che quando si decide di scalare una montagna bisogna essere consapevoli dei rischi e dei pericoli che si andranno ad affrontare, e bisogna portarle rispetto perché, qualunque sia il nostro grado di preparazione, siamo sempre in uno stato di inferiorità.
Kilian però è molto di più di un semplice sportivo. Nonostante i suoi innumerevoli successi, non ama i podi né tantomeno parlare di record, perché ci sono troppe variabili che possono condizionare una performance. È anche consapevole di essere un privilegiato, non tutti hanno la fortuna di poter praticare uno sport a livello professionistico riuscendo anche a guadagnare abbastanza per vivere.
Ciò che accomuna Kilian agli alpinisti “classici” è la passione per la montagna e quella voglia irrefrenabile di compiere imprese straordinarie, di raggiungere vette mai raggiunte prima e di spingersi oltre qualsiasi limite. Un’impresa considerata impossibile è quella documentata dalle foto di Fosco Maraini e che ha visto come protagonista una spedizione guidata da Walter Bonatti, un esploratore e alpinista italiano che, nel 1958, ha conquistato la vetta del Gasherbrum IV.
Nel libro, curato da Alessandro Giorgetta, direttore editoriale del CAI, e pubblicato nel 60° anniversario della conquista del Gasherbrum IV, viene documentata l’ascesa alla “montagna lucente”. Il successo della spedizione segnò un importante punto di partenza per un nuovo modo di intendere l’alpinismo. Un’impresa epica tra le nevi del Karakorum, diversa da tutte le altre, compiuta su una via di estrema difficoltà e che rimane ancora oggi inviolata.
Con la conquista del Gasherbrum IV si è aperta una nuova epoca che vede come protagonisti i “conquistatori dell’inutile”. L’alpinismo è infatti lontano dalle logiche quotidiane ma, per alcuni, è l’unico modo per sentirsi veramente liberi, per salire in cima alla propria montagna. Sono scelte dettate dal proprio credo, dal significato che per ognuno di noi hanno la vita e la morte, dal senso che si desidera dare alla propria esistenza, solo rischiando di perdere la vita se ne può conoscere veramente il valore.
Kilian non si è però limitato a conquistare solo montagne. Quando mancano due giorni alla partenza per l’ultimo grande obiettivo di “Summit of my life”, l’Everest, un forte terremoto scuote il Nepal, radendo al suolo interi villaggi e uccidendo migliaia di persone. Kilian decide di non cancellare il volo e partire lo stesso per Katmandu, ma con un obiettivo diverso: aiutare la popolazione locale (n.d.r.: qualcosa di analogo, con diverse modalità ma con l’identico spirito di solidarietà, è stato realizzato negli anni scorsi da un altro alpinista “storico”: Fausto De Stefani) Le strade sono interrotte e alcune valli sono isolate, l’unico mezzo per portare sostegno nelle zone remote e di montagna è correre, e se c’è qualcosa che a Kilian viene naturale è proprio la corsa.
Kilian Jornet è un atleta unico nel suo genere. Correre o sciare, in salita o in discesa, per lui non fa differenza, l’importante è muoversi e farlo velocemente. Dopo anni di competizioni e di successi, le gare sono diventate un’occasione per testarsi e superarsi. Non colleziona trofei ma momenti, emozioni e paesaggi, perché il vero obiettivo della corsa, e della vita, non è tanto focalizzarsi sulla destinazione quanto sulla strada che si sta percorrendo.