-di Gino Goti –
“Papà era inimitabile”: questo il lapidario commento dei figli, Alessandro e Riccardo. Erano loro i più stretti collaboratori del Ciclone Luciano. Sia per il settore calcio: Riccardo era arrivato nella rosa della prima squadra del Perugia in serie A e campione italiano e capitano del suo team nel campionato di calcio a 5. Alessandro, dirigente della squadra e imprenditore, sempre vicino al padre da bambino con il padre a comperare cavalli da corsa, l’altra passione di Luciano. Una volta ne comprò uno al prezzo di un “brocco” (2 milioni di lire) di nome Tony Bin che poi vinse a Parigi l’Arco di Trionfo fruttando tre miliardi e rivenduto, poco dopo, per altri sette miliardi di lire. Lucianone spesso era in contatto telefonico con la Regina d’Inghilterra, altra appassionata di cavalli battuti, a sorpresa, da Tony Bin. Ma fu proprio un cavallo, forse regalato a un arbitro di calcio, a creare i primi problemi al patron del Perugia.
Ma anche per il calcio è noto l’acquisto del giapponese Nakata per 5 milioni di lire e rivenduto alla Roma per 30 miliardi: Nakata concorse due volte per il prestigioso “pallone d’oro”. Perché Luciano andava a pescare nei campionati dilettanti i talenti e li metteva subito in prima squadra: il “Perugia dei miracoli” fu chiamata la squadra, imbattuta e seconda in classifica al termine di un campionato vinto dalla Juventus, ma prima di Inter, Milan, Torino, Fiorentina, Lazio e Roma di cui era stato dirigente e mantenuta sempre nel cuore.
“Inimitabile”, “Ciclone”, inventore di personaggi: fu lui, patron anche della Viterbese, una squadra maschile di professionisti, ad affidare a Carolina Morace il ruolo di allenatore, era il 1999.
Manager, e non solo calcistico, istintivo, burbero, dalla facile arrabbiatura, fu lui a inventare i ritiri punitivi dopo una sconfitta: “tutti a Norcia a lavorare”, concludendo però, spesso, le giornate insieme con i giocatori a giocare tornei di briscola con in palio preziosi orologi della sua sconfinata collezione.
L’uomo dalle promesse…mantenute: giunse a Perugia con i “grifoni” in serie C: “vi porterò in coppa UEFA”: detto fatto, a passi sicuri: prima in B, poi in A per due volte con nomi, in campo e in panchina che, da Perugia, arrivarono a conquistare anche il campionato del mondo. Con lui Materazzi,Rapajc, Ravanelli, Tedesco, Novellino, Frosio, Paolo Rossi, Nappi, Curi, Vannini, Liverani, Grosso, Gattuso, il già ricordato Nakata, Camplone, Castagner, Saadi Gheddafi figlio del leader libico, Galeone, Colantuono, Cosmi e il coreano Ahn che voleva licenziare perché autore del golden gol che determinò l’eliminazione dal mondiale degli azzurri di Trapattoni.
Gaucci amava Perugia, era amato da Perugia, amava il tifo degli ultras della curva Nord, “era tifoso della squadra e di se stesso”, ricorda il giornalista Gianfranco Ricci e volle seguire alcune partite dei suoi grifoni (unico forse nella storia del calcio) proprio tra gli “arrabbiati” della Nord.
Era facile alle sfuriate con giocatori, allenatori, arbitri ma ben presto era la sua bontà a prevalere e a far tornare il sereno. Castagner ricorda “era come un tir, ti teneva costantemente sotto pressione tutta la settimana…poi il martedì l’aria e le parole tornavano sereni”.
I miei rapporti con Gaucci e con le partite casalinghe del Perugia risalgono alla stagione di “Quelli che il calcio” di Fabio Fazio di cui ero uno dei registi esterni. Per le mie esigenze avevo sempre a disposizione un dirigente. Gli ospiti di “Quelli…” erano perugini famosi come Enrico Vaime, Lamberto Sposini, Stefano Carloni: il tifoso piccoletto con il posto dietro a una colonna della tribuna da cui non vedeva che qualche raro barlume di partita.
I giornali locali hanno riportato alcune frasi di giocatori e tecnici alla corte di Luciano Gaucci: Christian Bucchi “a lui devo tantissimo avendomi lanciato nel calcio che contava grazie ala sua follia”. Andrea Camplone:”sei mesi di ritiro punitivo ai Cappuccini di Gubbio, ma poi ci raggiungeva per giocare a carte o a tombola”, Ermanno Pieroni:”…non era la persona che appariva agli occhi della gente. Era un uomo buono, credente, generoso, pronto ad aiutare le persone in difficoltà e anche gli atleti”. Ivano Ercoli, storico segretario dei grifoni, ha raccontato lo stratagemma per tesserare il nigeriano Obodo, diciottenne ed extracomunitario: secondo regole di una settimana prima l’unico modo per tesserare un extracomunitario minorenne era di dimostrare che fosse in Italia con la sua famiglia per motivi extra calcistici. Luciano fece venire la madre, la iscrivemmo a un corso di italiano all’università per stranieri e le trovammo lavoro. Christian Obodo poté vestire la maglia dei grifoni.
Da poco tempo negli spazi dello stadio intitolato a Renato Curi è stato inaugurato il Museo del Perugia Calcio, visitato anche dal Panathlon Club Perugia. Ebbene il 90% del Museo racconta la storia del Perugia di Big Luciano, del Ciclone Gaucci, del Mago Gaucci, del fortunato Luciano anche al gioco: si racconta che fermo a un semaforo giocò al superenalotto i numeri della targa di un’auto che lo precedeva; vinse una cifra gigantesca facendo il sei.
Andrea Romizi, giovanissimo sindaco di Perugia ha detto “Il suo ricordo resterà immortale nella memoria dei perugini e dei tifosi”. Un’affermazione che potrebbero sottoscrivere quanti hanno conosciuto, lavorato e vissuto accanto a Luciano Gaucci, scomparso a 81 a Santo Domingo dove si era ritirato da anni e dove riposerà, secondo la sua volontà.
La volontà e il desiderio di sportivi e istituzioni sono quelli di intitolare a Luciano Gaucci la tribuna dello stadio Renato Curi a Perugia.