-di Francesca Tibaldi –
Fare il genitore è già di per sé un’attività multilivello che si deve occupare e preoccupare di tutte le sfaccettature che ne delineano lo svolgimento di attività in un lasso di tempo ampio e che non hanno mai la certezza di un esito. Noi stessi siamo stati figli di qualcuno e, sia che siamo stati atleti, o che non lo siamo mai stati in età giovanile, ma magari lo siamo diventati un una fase più adulta della nostra vita, inevitabilmente i nostri genitori ci hanno, anche a loro insaputa, trasmesso qualcosa che ha influito sulla nostra pratica sportiva. Se non fosse altro, almeno per quanto riguarda indicarci un personaggio sportivo nei suoi passaggi televisivi.
Viviamo nello sport, anche se non necessariamente viviamo di sport.
Per fare un esempio pratico di quanto lo sport possa entrare nella vita di tutti basta pensare al recente fatto di cronaca della scomparsa prematura del grande campione di basket Kobe Bryant e della sua figlioletta Gianna. Non averne ricevuto notizia, la vedo cosa decisamente improbabile, non averla commentata con i figli al ritorno da scuola, altrettanto. Il cestista statunitense, non solo ci è stato proposto come atleta eccellente, ma come uomo che ha raggiunto nella sua vita la qualifica di persona illustre per le sue doti morali ed etiche, nonché genitoriali.
Lo sport quindi è argomento quotidiano, riferimento maestro di una proposta di vita dall’esito positivo, anche in un risvolto così tragico che la morte in giovane età inevitabilmente ci trasmette. Come si può quindi, consapevolmente, essere “genitori sportivi”, anche senza essere stati maglia azzurra? Sicuramente affidandoci anche a ciò che, da decenni ormai, ci viene rimarcato a riguardo dei benefici fisici, psicologici e sociali che la pratica di un’attività sportiva in età giovanile ci ha ampiamente dimostrato.
Un passaggio successivo in questa analisi del buon genitore sportivo, ci viene sottoposto quando i nostri ragazzi, a volte in modo così eclatante da renderci assolutamente increduli della “magia” che sta avvenendo sotto i nostri occhi, raggiungono in modo concreto (vorrei sottolineare il concetto di risultato concreto e non soggettivo) risultati di ottimo livello nello sport agonistico.
Ecco quindi che se già essere “genitori sportivi” poteva far suscitare alcuni dubbi e difficoltà (gestione di più figli con orari e sport diversi, dieta, fine settimana di gare, vita sociale, compiti e scuola, ecc.) figuriamoci a quante perplessità e talvolta confusione può portare l’assumere il ruolo di “genitore di talento sportivo”.
Partendo dal presupposto che si voglia e si cerchi di fare sempre il meglio per i nostri figli, è comunque molto probabile che si debba cercare di trovare risposte da persone qualificate, in primis i tecnici di riferimento del ragazzo/a e i dirigenti della squadra.
Il “fai da te” non è consigliato neanche ai genitori che a loro volta sono stati olimpionici. Un figlio è sicuramente e principalmente “altro da sé” per ciascun genitore, anche se la genetica non è un’opinione. Seguire i dettami dei tecnici di riferimento delle varie selezioni categoriali rimane la strada principale da perseguire nell’interesse primario dell’atleta.
Il dialogo, il confronto propositivo ed eventuali modifiche di abitudini suggerite da persone competenti con il ruolo di tecnico, sono gli elementi di fondamento per la costruzione di un futuro campione, dentro e fuori dal campo, per il compimento concreto di un esito positivo nella vita di tutta la sua famiglia.
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PANATHLON INTERNATIONAL DISTRETTO ITALIA
CARTA DEI DOVERI DEL GENITORE
1. La scelta della disciplina sportiva preferita spetta ai miei figli in totale autonomia e senza condizionamenti da parte mia.
2. Mio dovere è verificare che l’attività sportiva sia funzionale alla loro educazione e alla loro crescita psico-fisica, armonizzando il tempo dello sport con gli impegni scolastici e con una serena vita familiare.
3. Eviterò ai miei figli, fino all’età di 14 anni, pesanti attività agonistiche, salvo discipline formative come la ginnastica artistica, privilegiando lo sport ludico e ricreativo.
4. Li seguirò con discrezione, con il loro consenso, se servirà ad aiutarli ad avere con lo sport un rapporto equilibrato.
5. Non chiederò agli allenatori dei miei figli nulla che non sia utile alla loro crescita e commisurato ai loro meriti e potenzialità.
6. Dirò ai miei figli che per essere bravi sportivi e sentirsi felici nella vita non è necessario diventare dei campioni.
7. Ricorderò loro che anche le sconfitte aiutano a crescere perché servono per diventare più saggi.
8. Indicherò loro i valori del Panathlon come fondamento etico per affrontare una corretta esperienza sportiva.
9. Al loro ritorno a casa non chiederò se abbiano vinto o perso ma se si sentano migliori. Né chiederò quanti gol abbiano segnato o subito o quanti record abbiano battuto, ma se si siano divertiti.
10. Vorrò specchiarmi nei loro occhi ogni giorno e ritrovare il mio sorriso giovane.
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